MA
18 – Il fascino del “fascio” (21.5.2007)
Da bambino, mentre mia madre provava i vestiti
dalla sarta, io giocavo a raccogliere con una grossa calamita a ferro di
cavallo gli spilli disseminati per terra. Ricordo anche, abbastanza
nitidamente, le sbarrette magnetiche bicolori, che probabilmente costituivano
suppellettile scolastica (alle medie o al
liceo), che andavano “custodite”
in coppie parallele e coi poli incrociati.
Circa 10 anni fa, nel corso dei miei studi di
telegrafia, probabilmente colpito dalla conferenza sul magnetismo di Hughes – il “principe dei telegrafisti”, inventore dell’elettromagnete che ho
decantato ne “Il cronoscopio di
Hipp”, del microfono (vedi
LU 17)
e del telegrafo stampante – riportata nel Telegrafista
del
Ho scoperto così, tra l’infinità di punti oscuri
che tuttora avvolgono l’argomento (o che,
quanto meno, appaiono tali a un semplice elettrotecnico come chi scrive),
gli studi “apocrifi”, rimossi per
chissà quali “ragion di Stato”
scientifiche (vedi anche MA 1), dei
vari Hughes, Du Moncel, De La Rive, Jamin, Villari, Marianini e
di molti altri “artigiani” della
scienza, che hanno avuto il solo torto di occuparsi di cose concrete e, soprattutto, di
descriverle con chiarezza e umiltà.
Intendo dire, con Ronchi,
che i veri progressi della scienza, in generale, non sono dovuti a chi se ne
accaparra il merito, ma alle maestranze che conoscono e tramandano i segreti
delle loro “arti”: la “conduzione” magnetica, la limatura che
si “acciuffa” e si muove, la “pigrizia” dell’acciaio, la virtù “ritenitiva”, i metodi di magnetizzazione
(strisciate consecutive, unidirezionali e
rigorosamente
sincrone), le imprevedibili inversioni di polarità, la “debilitazione” dei magneti “disarmati”, ecc.
Dopo questa introduzione, anche troppo lunga,
vengo al concreto e cioè all’argomento di questa News: i “fasci magnetici”
(foto a sinistra, dal liceo Foscarini,
dove anche Magrini
operò).
Un anno fa, occupandomi di “calamite scintillanti” (vedi
su Google)
e del “Tavolo
Gaeta”, forse abbagliato da una qualche “analogia
elastica” applicabile al magnetismo, volevo costruirmi un
potente fascio magnetico assemblando alcune calamite. La prima sorpresa fu che le
sbarrette magnetiche di cui avevo memoria non sono più in commercio, né nelle
cartolerie, né presso le ditte di sussidi didattici, né dai ferramenta.
Comunque, dopo molta fatica, trovai qualcosa in un fondo di magazzino e comprai
una decina di piccoli, dozzinali e soprattutto “scalamitati” magneti a ferro di cavallo (foto a destra), abusando della pazienza del commesso che me li fece
scegliere tra quelli aventi, grosso modo, la maggiore e la stessa forza
magnetica.
Ingenuamente pensavo che affastellando poli
omonimi, diciamo “a fisarmonica”, si
doveva vincere sì una certa “repulsione”
che, come accennato, credevo “elastica”,
come una molla da comprimere, ma ottenendo in cambio il cercato aumento della
forza “portativa” del fascio. Mi
attendeva però una seconda, e ben più grave sorpresa, e cioè che mentre l’“attrazione” magnetica, come desumevo dal
tavolo
Gaeta, era in qualche modo assimilabile ad una forza elastica,
la “ripulsione” (più che “repulsione”) era invece cosa alquanto diversa, più sottile
e, soprattutto, più “sfuggente” (o meglio
“rifuggente”) del “respingimento”
di una molla.
Nella prossima
News, introducendo la distinzione tra fascio e magazzino magnetico,
forse potremo fare un po’ più chiarezza su questi fenomeni.
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