GA 12 – Il circuito stampato di Obici (18.1.2006)

   

“Quantunque sia noto da antico tempo che il pensiero trae le sue origini dalle sensazioni, è tuttora in gran parte sconosciuto attraverso a quali processi di sintesi esso vada formandosi entro il nostro cervello. Nelle cellule che lo producono non lascia traccie sensibili di sé, e si rivela a noi soltanto quando si plasma in forma di movimento muscolare.

Può essere dubbio se ciascuno di noi abbia la facoltà di rendersi conto del proprio lavoro ideativo senza non prima averlo trasformato in una formola qualunque di movimento, sia pure nel movimento rudimentale di un linguaggio interiore. Ma certamente non abbiamo mezzi sicuri per renderci conto del pensiero degli altri se non quando quelli stessi ce lo rivelino con le opere, e più specialmente col gesto, colla parola, collo scritto, e, in ogni modo, con una forma qualsiasi di movimento.

Poiché sfugge l’intimo processo psichico ai nostri mezzi di indagini di laboratorio, deve dunque il fisiologo dirigere la sua analisi paziente e minuta a meglio conoscere le origini (sensazioni), dalle quali il fatto psichico trae vita ed alimento, le forme di movimento, nelle quali si traveste, si esprime ed agisce. Sia il gesto, sia la parola sono del pensiero forme troppo fuggevoli, perché sia facile fissarne le origini fisiopsicologiche, poiché nella storia dell’Umanità esse si confondono con le nebulose origini della specie e nella storia dell’individuo si iniziano con gli incerti attucci e col precoce balbettio dei neonati.

La scrittura invece permane anche quando il pensiero abbia cessato di agitare l’animo nostro; è un linguaggio di formazione relativamente recente e se ne può rintracciare nella storia dei popoli con sufficiente chiarezza le prime origini, come si può in ogni bambino seguirne il modo di formazione: risulta inoltre da movimenti ampî fatti da un gruppo limitato di muscoli, la cui funzione è molto più facilmente analizzabile che non la funzione dei muscoli della laringe e della bocca nella formazione della parola o dei muscoli di tutto il corpo fugacemente oscillanti sotto le emozioni nella infinita varietà dei gesti".

 

Verso la fine dell’ottocento si occuparono di grafologia grossi nomi, come Morselli, Lombroso, Binet, Toulouse, Kraepelin. Sulla scia dei loro studi, un giovane psichiatra, Giulio Obici, riprese alacremente e, si badi, sperimentalmente, le incompiute ricerche di Buccola sulla scrittura, anzi sul “meccanismo della scrittura”. Questo era infatti il titolo di uno degli ultimi articoli – la cui enorme importanza balza evidente dall’incipit surriportato –, pubblicato nella Rivista di filosofia e scienze affini, Febbraio 1903, che Obici, scomparso anche lui prematuramente come Buccola, fece in tempo a licenziare.

Obici iniziò le sue ricerche con gli alunni della scuola elementare di Argenta. Esaminava, con minuzia oggi impensabile, aste, filetti, pendenze, tratti arcuati concavi o convessi, ecc. con cui quelle giovani mani copiavano un dato modello calligrafico. Studiando quindi le fasi embrionali della scrittura intravide errori sistematici di coordinazione motoria e ne volle indagare le cause neuromuscolari. Si servì a tal fine del “grafografo” (o “dattilo cinetometro della scrittura”), uno strumento di sua invenzione, simile ma più sofisticato del “pressiografo” di Binet o del “miografo” di Burckhardt. Tale strumento doveva essere descritto nel mio incompiuto lavoro di Meccanica grafica (AG 11), ma chi fosse interessato può trovare notizie anche in rete (articolo di Michela Raschiani) o, meglio ancora, direttamente negli scritti di Obici, di relativamente facile reperibilità.

Qui, come cenno aggiuntivo ai miei, editi e inediti, contributi (penna Edison, Vignini, Innocenzi, Gemelli, Ohannessian, Héricourt, Zannoni, Diehl, Gross, ecc.) su questi argomenti – non tanto “grafologici”, ma semmai “stenografici” – di meccanica grafica e fisiologia della scrittura basterà ripetere quanto anticipato a proposito di Patrizi. Ricerche di questo tipo sono sempre state trascurate, tanto è vero che ancor oggi nei trattati di fisiologia si parla molto di più dei movimenti necessari alla formazione del linguaggio parlato che di quello scritto. Il motivo di questa superficialità mi sfugge, ma quello che è certo è che, come sottolinea Obici nel brano riportato, i “movimenti” grafici sono più semplici di quelli fonici e quindi il loro studio dovrebbe essere senza dubbio più proficuo. Gli autori citati hanno trovato o creduto di trovare molte leggi o “corollari” – relativi ai tratti estensori e flessori, crampi, spasmi, contrazione tra segno e segno, contropressione del dito medio rispetto a pollice e indice, tonicità esagerata dei muscoli, potere di arresto di un movimento, attacchi, stacchi, percorsi aerei, ecc. – che non hanno retto alla “ripetibilità” sperimentale, ma ciò non giustifica il buttare a mare o nella spazzatura tutto il loro lavoro. E questo vale soprattutto per Buccola che, come da sempre ripeto, aveva imboccato la strada maestra cominciando a scoprire la “legge del tempo” nei fenomeni del pensiero (e della scrittura).

L’“armamentario” di Buccola, come sappiamo bene, era estremamente semplice: una lastra di rame, collegata ad una pila e al cronoscopio di Hipp, su cui si scriveva con uno stilo conduttore che chiudeva il circuito elettrico. In questo modo si avevano solo i tempi “totali” di scrittura di una parola, senza nessuna informazione sui tempi “parziali” e sulle velocità istantanee delle singole lettere o dei singoli “tratti” costitutivi delle stesse. Questo – erroneamente, si badi bene! – è sempre sembrato un limite, a iniziare da Obici che cercò di “perfezionare” il metodo di Buccola usando non una piastra omogenea, ma a pettine, come i moderni “circuiti stampati” su basette di vetronite (vedi immagini). Con questo artificio Obici tentava di avere i vantaggi della penna elettrica eliminandone i difetti. Successivamente, nell’ultimo lavoro (un mese prima della morte), ideò questo sistema, certamente più praticabile, per ottenere sul cilindro C (non a carta affumicata, ma a carta elettrochimica) delle grafiche che mostrassero le singole frazioni di tempo nelle quali le varie parti del segno erano tracciate:

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