ME
18 – L’altro Ohm (27.1.2007)
La legge di Ohm V = R I (che
mnemonicamente, e …patriotticamente, si suole ricordare con la formula Viva Repubblica Italiana) lega le tre grandezze Tensione, Resistenza e Corrente, le cui unità di misura, com’è noto, sono rispettivamente Volt, Ohm e Ampere. Una volta introdotta la Potenza, che si misura in Watt, è facile (o almeno per
addetti e studenti dovrebbe esserlo…) combinare questi quattro parametri
nelle formule della “ruota di Ohm” (in alto a destra).
Non ho affatto intenzione di rinfrescare la
memoria di qualcuno, né tanto meno di fare una lezione di elettrotecnica, ma
questo “cappello” mi è servito per
sottolineare che le formule di Ohm
che conosciamo e usiamo comunemente, sia in corrente continua che in alternata,
valgono in regime o “stato permanente”, e non nei “transitori”
iniziale e finale (chiusura e apertura
del circuito), quelli stessi nei quali, come abbiamo già accennato (vedi ME 5), nascono le correnti indotte.
Giorgio
Simone Ohm, però, nella sua celebre “Teoria
matematica delle correnti elettriche”, si occupò anche, e direi
soprattutto, dello “stato variabile” della corrente e della tensione, cioè di
quell’intervallo di tempo che precede, e poi segue, il predetto regime
stazionario. Le idee di Ohm,
risalenti al 1827, furono estesamente
studiate, com’è noto, solo dal 1860,
quando J. M. Gaugain tradusse in
francese il suo testo (consultabile su Gallica), quindi è probabile
che non solo Melloni, ma addirittura
neanche Faraday le conoscesse.
I problemi concernenti lo stato variabile sono
complicatissimi e dopo le ricerche sperimentali di schiere di “telegrafisti” o “elettricisti” (vedi ME 1),
in particolare quelle di Gounelle,
Blavier, Clark (vedi F0
37), Wheatstone, Matteucci, Varley o C. M. Guillemin – al quale ultimo, principalmente, debbo una
relativamente chiara comprensione dei fatti, nonché il grafico (in alto) e il “periodometro” (lo strumento,
sofisticatissimo per l’epoca, con cui Guillemin condusse i suoi esperimenti -
in basso) qui inseriti (vedi Annales
Télégraphiques, 1863 e 1864) –, sono confluiti nelle equazioni di Maxwell o in quelle che, negli anni in
cui studiavo ingegneria, erano chiamate “equazioni
dei telegrafisti” ed “equazioni dei
telefonisti”. Liquidare tanta dottrina in una mia News non deve però apparire né presuntuoso, né fuori posto, né
soprattutto inutile, perché queste righe intendono gettare qualche luce sul “percorso” melloniano accennato nella News precedente.
Lo stato variabile può durare tempi “buccoliani”, cioè millesimi di secondo,
nei circuiti normali o nei fili telegrafici aerei, mentre nei circuiti “induttivi” o nei cavi sotterranei e
sottomarini può durare alcuni minuti (vedi
AG 20).
In generale, come risulta dalle pionieristiche ricerche di Oersted, Melloni o Gaugain, nei conduttori imperfetti o
mediocri (cioè nei semiconduttori o semicoibenti), la propagazione
elettrica è lenta, ma proprio per questo permette di vedere “al rallentatore” certi fenomeni che
nella propagazione veloce dei conduttori metallici sfuggirebbero.
Ohm, paragonando il flusso
del circuito galvanico al flusso del calore, previde quello che dopo fu
sperimentalmente provato nel “circuito”
telegrafico (terra—pila—filo
di andata—terra – vedi MO 102) e cioè che nel periodo variabile la tensione presso la pila, cioè al capo vicino, decresce, mentre al capo lontano aumenta (vedi curve asintotiche nel diagramma),
per stabilizzarsi subito dopo nel regime
permanente. È qualcosa di analogo a quello che accade unendo con una sbarra
buona conduttrice del calore un corpo alla temperatura di
A paragone del melloniano “calorico radiante” si potrebbe quindi definire un “elettrico radiante”, ferma restando la
differenza con la “conduzione” vera e
propria, sia termica che elettrica. Credo di poter concludere che queste
nozioni, come le corrispettive in termodinamica, non si stabilizzeranno fin
quando, e per esempio, non si darà un significato preciso o univoco
all’espressione “velocità dell’elettrico”.