102 – Il circuito telegrafico
Il disegno, tratto dal raro opuscolo Dei tre principali sistemi di telegrafia elettrica attualmente in uso
del barnabita G. M. Cavalleri, Milano
1853, illustra nella maniera più chiara il “circuito” telegrafico: la “corrente”
elettrica generata a Milano dalla pila a liquido esce dal polo rame R,
“percorre” il circuito di andata (filo di rame o di ferro sospeso su pali) fino a Brescia,
si ficca in una piastra interrata (o un pozzo), “percorre” il circuito di ritorno attraverso la terra, “rispunta” da
una piastra analoga a Milano e conclude la sua “corsa” nel polo zinco Z
della pila.
I fisici, all’epoca, si dividevano in due categorie: quelli
che pensavano che il circuito di ritorno
avesse una resistenza elettrica nulla per la praticamente infinita sezione
della terra e quelli che pensavano che la terra fosse un serbatoio senza fondo di elettricità (nella Lucidi News 5
sarà data una terza ipotesi). Matteucci,
ed altri fisici, sperimentarono inoltre che in certe condizioni la pila si
poteva anche omettere.
L’essenza della telegrafia elettrica consistette nel rendere
sensibile, cioè percettibile dai sensi umani,
alla stazione o “posta” ricevente la presenza o meno di elettricità stabilita
nella “posta” trasmittente. A questo fine, com’è noto, si sfruttò principalmente
la deviazione di aghi magnetizzati (Wheatstone,
per esempio) o l’attrazione di sbarrette di ferro dolce (Morse, per esempio).