99 – Il “vizio di norma” (effetto Dragoni)
Italo
Barducci
amava dire che lui più che il direttore era il “correttore di bozze” della rivista dell’AIA (Associazione Italiana di Acustica). Non credo fosse solo una
battuta, perché il problema principale di tutti gli editori, piccoli o grandi, è quello di
dare alle stampe e immettere nel mercato un prodotto ripulito dagli errori e
curato nella veste grafica, nella famigerata “forma”. Per quanto riguarda invece il “contenuto” vale la quasi altrettanto generalissima usanza del “non entrare nel merito”, di fidarsi cioè
ciecamente del “nome” dell’autore. Il
tema si presterebbe alle più ampie riflessioni o discussioni, ma ai fini di
questa News basta semplicemente “prendere atto” di questo “stato di fatto”.
L’imprescindibile funzione della correzione
delle bozze è un compito che nelle vecchie o piccole stamperie viene o veniva
svolto dal “proto”, il tipografo più
anziano o più colto, mentre nella grande editoria, anche se informatizzata, non
può essere assolto da una sola persona. Dopo l’autore, che, come è risaputo,
difficilmente si accorge dei propri refusi,
il testo passa per le mani e “sotto gli
occhi” di una catena di redattori,
revisori, editor, ecc. prima di arrivare ai “grafici” impaginatori o ai tipografi compositori.
Assodato che nella correzione delle bozze
vi sono diversi livelli di competenza, e diverse fasi, non bisogna perdere di
vista una differenza sostanziale: la “scoperta”
o individuazione degli errori e il modo di “segnalarli”
a chi dovrà materialmente correggerli. Il secondo di questi due compiti è
quello, forse, relativamente più facile, perché basta che i correttori, in
genere free lance, si uniformino alle
“regole”, ai segni quasi “diacritici”
dei codici italiani e internazionali (Norme UNI e ISO, vedi collage
di apertura, tratto da R. Lesina, Il
manuale di stile, Zanichelli 1986) e alle direttive interne o specifiche di
ogni casa editrice, rivista o giornale. Quanto invece al “riconoscimento” degli errori – di
ortografia, grammatica, sintassi, incoerenza stilistica, povertà lessicale,
squilibrio o a-normalità strutturale, ecc. – il compito è
ben più difficile, occorre la matita rossa e blu (e sarebbe meglio sfruttare anche gli altri colori!) del professore
di lettere e/o una competenza supplementare alla quale, forse, si arriva
studiando testi specialistici quali U.
Eco, Come si fa una tesi di laurea; M. Cammarata, Il correttore di bozze; A.
Gallavrini, Tipocomposizione; ecc., oltre al citato e ottimo Lesina. Trovare errori, riassumeva acutamente Ceccato, è un
lavoraccio per i correttori di bozze (che
devono districarsi nella selva delle norme tecniche, la cui unificazione non
potrà che essere sempre utopica), però è un piacevolissimo passatempo per i
lettori della Settimana Enigmistica!
In realtà l’approccio scientifico al “fenomeno degli errori” è venuto, e
certamente continua a venire, dagli psicologi sperimentali (Bryan e Harter,
Toulouse e Vaschide, Buccola, James, Binet, ecc.) che
si sono accorti che gli errori è più facile “sentirli” che “vederli” sulla carta
stampata o, peggio, su un monitor.
La lettura a voce alta infatti, assicurando quella sequenzialità temporale che invece la
lettura silente non garantisce, e mettendo, per così dire, “sotto le orecchie” il flusso fonico (che può essere vorticoso o laminare, vedi Buccola News 68), permette
di rilevare più facilmente gli scarti dai valori normali, ossia i “vizi di norma” più che i “vizi di forma”.
Oggi il cervello umano è spesso paragonato
al computer, ma forse soccorre meglio il paragone col fonografo di Delboeuf, Guyau
e Buccola. Riprendendo la capitale differenza
tra fonografo e logografo (vedi AG 16) e introducendo il fecondo
concetto di leggibilità
acustica, derivato direttamente dalla Telelinguistica, si comprenderà facilmente che la “correttezza” formale di un
testo è intimamente, fisiologicamente, organicamente connessa con la sua “scorrevolezza”. Se le immagini sonore si presentano una dopo l’altra, in fila
e senza scosse risulteranno “a norma”, o meglio non “fuori norma”, e supereranno senza dubbio, e senza problemi, quel “controllo di qualità” che in ultima analisi è la
revisione.