MA 3 - Allodole e specchietti
(23.4.2007)
Dopo l’arrotino (vedi News
precedente) un decisivo contributo per capire il “motore di Pegna” ce lo dà il cacciatore,
grazie allo “zimbello” o specchietto
che egli usa, o usava, per catturare le allodole (vedi foto a sinistra). Anzi, le analogie che tale “macchina” elementarissima ci permetterà
di cogliere – e forse di impiantare anche sperimentalmente – sono talmente
tante e talmente importanti che io non esiterei a intitolarle “La fisica dello zimbello”.
Esistono, credo, tre tipi di “richiami” per “uccellare” e “allettare”
le povere allodole in migrazione: far svolazzare una civetta, un barbagianni o
un allocco vivi (a volte, persino
accecati), strattonandoli per una cordicella legata ad una zampa; usare una
“civetta finta”, una sagoma munita di alcuni specchietti, che
ruotando con un meccanismo ad
orologeria o elettrico, producono un luccichio continuo; far muovere tale
civetta finta manualmente con una cordicella, cioè il classico specchietto per
le allodole di cui ci stiamo occupando.
Il primo sistema, barbaro, è giustamente vietato;
il secondo pare non sia molto efficace, perché le allodole, forse non tanto “stupide”, non sono incuriosite, né
attratte da un monotono scintillio; il terzo invece, più irregolare e “umano”, pur essendo molto valido – tanto
da aver dato origine anche a metafore extra-venatorie – ormai, nell’era
tecnologica, è quasi del tutto abbandonato.
Per studiare questa particolarissima interazione uomo-macchina, ci basta sapere come
funziona il sistema o “link” zimbello-cacciatore. Quest’ultimo,
appostato col suo schioppo in un capanno o dietro un cespuglio ad una decina di
metri dal richiamo, mentre aspetta pazientemente l’avvicinarsi delle sue prede,
aziona la funicella muovendo la mano – o addirittura il piede, se è molto bravo
e vuole ingannare il tempo leggendo un libro o un giornale – ritmicamente e
tranquillamente, con nonchalance,
senza stancarsi.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare,
e che anch’io credevo, non c’è nessuna molla: lo strumento è costituito semplicemente
da due pezzi, uno che si conficca nel terreno, e l’altro, quello con gli
specchietti, liberamente imperniato sul primo. Il pezzo mobile ha una
leggerissima svasatura su cui si avvolgono tre o quattro giri di cordicella,
che tirata e soprattutto “mollata”
con destrezza (cioè senza intempestivi
strappi) per permetterne lo svolgimento e il successivo riavvolgimento, per
inerzia, in senso contrario, mette in moto alternativo e, si badi, continuativo
lo specchietto.
Io stesso, nella primavera del 2002, al parco
della Caffarella di Roma (vedi foto),
seguendo le istruzioni di un pazientissimo amico cacciatore, ho provato “con mano” questa fisica dello zimbello (simile, alla lontana, a quella delle
trottole o dello yo-yo), riuscendo però ad ottenere poche oscillazioni. La
corda infatti, per l’inerzia del sistema, come già detto, si riavvolgeva sì
ogni volta in senso contrario, ma quasi subito, a causa della mia imperizia, mi
ritrovavo con la cordicella del tutto svolta e lo specchietto fermo: per
continuare il “teleazionamento” ero
quindi continuamente costretto a riportarmi presso l’apparecchio e riavvolgere
un paio di giri di corda.
Già questi fatti, di certo, sono meritevoli di
grandissima attenzione, ma la fisica dello zimbello ci riserva ben più
sorprendenti sviluppi: la possibilità di recuperare energia e riprendere la
marcia anche a “bocce ferme”, senza nessun avvolgimento
preventivo del filo, con un virtuosismo sicuramente analogo a quello dell’altalena del telegrafista (vedi ME 4); far capire a fondo il concetto di velocità
di crociera della mano che telegrafa (vedi
MO 111 e LU 30); gettare qualche altra luce sul conflictus
di Oersted, sul motore di
Pegna, sul push-pull (tiremmolla) dell’elettronica, forse
sull’elettroscopio o gabbia di Melloni
(Melloni cage – vedi ME 25 e AG 20) e, in generale, sulla natura stessa
dell’elettricità, come si evince dal quadro sinottico o “specchietto” (non certo per
allodole!) inglobato nella foto di destra.