111 – L’“errore” di Marianucci
Dopo Hobby
un altro libro ormai di difficile reperibilità ma di estremo interesse per le
nostre ricerche di telelinguistica è
I primi tre punti di Enzo
Marianucci (Bologna 1986), il cui titolo fa
riferimento alla lettera S che, lanciata per la prima volta
nell’etere da Marconi nel 1895, superò la collinetta di Villa Griffone e sancì
l’invenzione della telegrafia senza fili. Debbo la segnalazione di questo
libro, ripeto prezioso, alla cortesia del Cavalier Maurizio Bigazzi,
appassionato storico del Marconi e noto collezionista, mentre all’amico Prof.
I primi tre punti è un libro interessante non solo
per i contenuti, “più di telegrafia che
di radiotelegrafia”, e di cui purtroppo non potrò dare che pochi cenni, ma
anche per la sua genesi e per la storia del suo autore. Marianucci, già
telegrafista a dieci anni nell’ufficio postale del padre (come i pionieri
americani del Morse!), lavorò come telegrafista alle poste (telegrafia “coi fili” e “con la zona”), come marconista in aeronautica ed entrò come
radiotelegrafista all’Ansa nel 1945, quando non si parlava ancora di
telescriventi. Poi, per motivi che ignoro, seguì una “latitanza” di 30 anni
dalla radio e infine, negli anni ’80, un rientro un po’ traumatico, perché in
radiotelegrafia molte cose, e qualche segnale, erano cambiati dai suoi tempi.
Addirittura gli fu negata la patente di radioamatore e Marianucci, per rivalsa,
raccontò la sua storia e ne venne fuori un libro prezioso, che ripercorre, si
può dire, la radiotelegrafia del ‘900 con la competenza di un protagonista e di
un testimone sicuramente eccezionale.
Il libro è una sapiente miscela di tecnica, di racconti
affascinanti o drammatici (Titanic, Tenda
Rossa) e di acute considerazioni (“La
radiotelegrafia ha il fascino musicale di una scrittura udibile ed un
linguaggio universale valido anche per chi non conosce le lingue”). Io mi
limiterò a citare pochissime osservazioni strettamente attinenti la telelinguistica, chi vuole approfondire
deve assolutamente procurarsi il libro.
Marianucci appartenendo, come Saso, alla “vecchia scuola” critica
l’insegnamento musicale del Morse: bisogna trasmettere prima di ascoltare,
bisogna imparare a memoria il codice scritto, come facevano i vecchi telegrafisti, bisogna usare il solo tasto
di esercitazione, senza cicalini e oscillofoni.
Al
rientro in radio Marianucci fu piacevolmente sorpreso di trovare un nuovo e “veloce”
segnale
di errore costituito da due o tre
punti staccati (• • •) al posto dei “pesanti” otto punti attaccati (••••••••) dei suoi tempi. Questo segnale “antipatico” – perché rompe il ritmo della manipolazione – si era
diffuso con l’adozione del trasmettitore
automatico Wheatstone il quale, funzionando in “folle”, per inceppamento o rottura della zona perforata, emette appunto una
serie ininterrotta
di punti (p. 33). Il concetto si
comprende forse meglio osservando la banda perforata in testa a questa News che contiene la serie ininterrotta
di punti cui allude Marianucci (si confronti con la perforazione delle lettere PARU nella banda riportata nella Morse News 67).
La “cadenza”
è la velocità personale medio-alta (circa 2/3 della massima) alla quale si può
trasmettere e ricevere per ore e ore senza stancarsi, sprecando cioè il minimo
di energia, proprio come avviene agli automezzi con la “velocità di crociera” (p. 62). Questo “cruise control” assicura alla mano
dell’operatore un andamento uniforme e l’insieme tasto-mano-braccio (biella
Morse), particolarmente nella manipolazione dei punti, si può
considerare un sistema inerziale.
Invece ogni deviazione, svio, frenata, derangement, fermata,
ecc. porta ad un sistema in accelerazione, con annesso dispendio di energia fisiofisica.
Per battere il punto il polso deve “molleggiare” cioè tornare, subito dopo la
battuta, alla posizione iniziale (p. 42).
Un polso
irrigidito non oscilla bene e trasmette al tasto impulsi nervosi e irregolari (p. 44).
Il massimo della perfezione raggiungibile da un
radiotelegrafista (ma si tratta di rarissime eccezioni) è di arrivare a ricevere e
trasmettere pressoché in uno stato di automatismo, cioè operando per alcuni
tratti senza errori e con il pensiero rivolto ad altro (p. 63).