DA
14 – Un “sinistro” incidente …di
percorso (12.3.2013)
Nel settembre del 2009, come sicuramente gli amici Giunta e Contino ricorderanno (vedi
PO
24 e RE 59),
sarei dovuto andare a Termini per visitare le antiche terme di Imera (i bagni vecchi), ma fui letteralmente “bloccato” a Roma per un drammatico
incidente che voglio raccontare (unicamente
perché funzionale a quanto diremo nel prosieguo).
Mi trovavo nella mia casa di
campagna in Abruzzo, quella dove sono solito fare esperimenti di idraulica (vedi Caverni News e Poleni News),
e il 28 agosto mi recai in macchina
in un vicino lago per verificare certi tempi, modalità e “linearità” di deflusso idrico, portando con me un grosso secchio (munito di fori e rubinetti), un paio di
mattoni pieni, la macchina fotografica e un orologio contasecondi. Parcheggiata
la macchina in una radura (foto a
sinistra) mi diressi subito alla riva ma non essendo quel punto idoneo per
i miei esperimenti deviai a sinistra, dopo aver adocchiato la spiaggetta
limitrofa (percorso in nero). Forse per
la rincorsa o forse per lo sbilanciamento provocato dal pesante secchio che
portavo, e sicuramente per l’insidiosissima umidità dell’argilla, fatto sta che
scivolai e improvvisamente mi ritrovai sbattuto a terra con un tonfo fortissimo
che, letteralmente, mi fece vedere le stelle. La botta era stata micidiale, ma
dopo qualche minuto di stordimento, non sentendomi nulla di rotto provai a
rialzarmi, sicuro di farcela come chissà dopo quante altre cadute nella mia
vita. Stavolta però c’era qualcosa che non andava: al fianco sinistro, quello
dell’impatto, non sentivo male, ma appena facevo forza sul piede sinistro
tornavo a “riveder le stelle”. Non
potendo assolutamente camminare riuscii solo a trascinarmi un metro avanti e a
fare un abbozzo dell’esperimento in programma, nella illusoria attesa di un
ripristino, magari parziale, della mia funzionalità deambulatoria.
Sarò stato immobilizzato sulla
riva per una mezzora e cominciai a preoccuparmi seriamente perché il luogo era
deserto, il telefonino era rimasto in macchina e non potevo assolutamente
rialzarmi. Istintivamente trovai l’unico modo con cui riuscivo a muovermi, e
cioè carponi, appoggiandomi al secchio e scaricando su di esso la quasi
totalità dei miei 85 kg di peso (foto a destra). Così, lentissimamente e
con molto sforzo, spostando il secchio con “passetti”
di 20 cm alla volta, mi inerpicai per
i 30 m della lieve scarpata (percorso in bianco) riuscendo a portarmi
fino alla macchina, in salvo. La cosa strana poi fu che, a parte la stanchezza
(e la paura), una volta seduto in
macchina non mi doleva niente e la gamba, dato che il mio peso ora “scaricava” sul sedile, sembrava
funzionare perfettamente (la sensibilità
era integra e potevo applicare la forza necessaria per azionare il pedale della
frizione), per cui prima di telefonare al 118, decisi di provare a guidare.
La cosa mi fu relativamente
facile e dopo tre quarti d’ora ero nel garage di casa mia. Sopravvalutando lo
stato della mia salute, provai a scendere dalla macchina appoggiandomi solo sul
piede destro, sostenendomi alla carrozzeria, ma iniziando a camminare riprovai
la sensazione di paura di un’ora prima e cioè di non potermi muovere e di
essere in “trappola” per il poco
spazio tra l’auto e il muro. Mentre non sapevo proprio a cosa (nel garage) o a che santo aggrapparmi,
dopo qualche minuto di sgomento non potei fare altro, semicoscientemente,
che abbandonarmi e lasciarmi andare a terra. Per fortuna mia moglie e altri
notarono il mio svenimento (perché di
questo si trattava), mi sorressero e con un po’ di acqua e zucchero ripresi
i sensi e il “colore”, e spiegai che
il mancamento era dovuto alla scivolata e a tutti gli stress conseguenti.
Dopo un frugale pasto e 20 min di
riposo, persistendo l’impossibilità di camminare ritto, e cioè di scaricare
metà del mio peso sulla gamba infortunata, decidemmo di chiedere soccorso e
così fui portato in ambulanza in ospedale. Le radiografie rilevarono che
c’erano delle microfratture al femore e al bacino e un fortissimo ematoma, ma
niente di rotto e quindi con qualche puntura miorilassante dopo un paio di
giorni sarei guarito.
In realtà questa mia invalidità
è rimasta pressoché stazionaria tutto il mese di settembre, nella prima metà
del quale potevo muovermi solo trascinato di peso da mio figlio o spostandomi
con il “girello” deambulatore e riabilitatore (vedi
su Google) che un tempo era stato usato da mio suocero o usando come
protesi la poltrona a rotelle della mia scrivania, mentre nella seconda metà
andavo in giro zoppicando e appoggiandomi ad un bastone finché la contusione
non fu del tutto riassorbita.