RE
48 – Le “terme” di Siracusa (16.6.2012)
“Cum sia in tutte le altre scienzie
gli siano qualche contracdittorie eccezioni, si como in le gramatice, dialettice e legale scienzie: ma
in le matematice non gli è errore alcuno, quale non
sia subito evidente e corripiendo con expedita claritate, e perciò sono
in lo primo grado della Certitudine
e le cose naturali sequono quelle”.
Dal primo volgarizzamento italiano (quello di Cesare Cesariano, Como 1521) dell’Architettura di Vitruvio riporto questo brano (pagina 146v, la stessa
dove si trova l’immagine di destra) per cercare di chiarire meglio
le mie considerazioni della RE 46 e, se
possibile, richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori, in primis quella
dell’amico Gambarara,
sulla lucidiana “matematicità” della lingua e
sulla “vera” scoperta di Archimede.
Tra la babele e i miliardi di libri conservati nelle biblioteche
di tutti i luoghi e di tutti i tempi i testi veramente
“chiave” sono una esiguissima minoranza,
tutto il resto è “spazzatura” più o
meno come quello che oggi “circola” o
“è sepolto” in rete, o che esce dalla
bocca o dalla penna di acclamati o sedicenti “maîtres a penser”. Aggiungo
anche con forza quello che da un ventennio “Gli
Atomi” stanno cercando di
dimostrare, e cioè che quasi mai gli autori “chiave” sono quelli più accreditati, e che al contrario spessissimo
i testi di costoro sono plagi, furti, più o meno consapevoli e colpevoli, delle
idee dei veri “novatori” – come il Reuleaux a cui si intitolano queste
ultime News – ignorati, banditi o il cui nome, bene che vada, è relegato in
qualche “noterella”.
Il tempo però, come si dice, è “galantuomo” e ogni tanto ridà a Cesare
– nella fattispecie il citato Cesariano
– quello che plurisecolari schiere di commentatori o “redemptori” gli hanno tolto. E mi
piace sottolineare che il recupero, alla Scuola Normale di Pisa, di questo Vitruvio “translato in vulgare sermone, commentato
et affigurato” e soprattutto il “reintegro”
del suo dannatissimo autore sia stato promosso, una trentina di anni fa, dal
Presidente dell’Accademia della Crusca Giovanni
Nencioni, colui che forse non a caso, in tempi
lontani, era stato, come il Pagliaro e
il Devoto, “maestro e discepolo” di Mario
Lucidi (vedi LU 53).
Anche l’immagine di sinistra, liquidata in genere come uno
strano “alambicco”, è del Cesariano (pagina 87v) e rappresenta un antico impianto termale “artificiale”. Infatti
anche nelle città, come Siracusa e la stessa Roma, non provviste di scaturigini
“naturali” di acque calde (come a Imera, per capirci), i romani non
rinunciavano ai loro salutari bagni di vapore (stufe). Il loro “Laconicum” – leggiamo
per esempio in Niccolò Palmeri – era una stanza sotto il cui pavimento c’era
l’“Hipocaustum”,
una fornace A che riscaldava sia gli
ambienti “concamerati” sia il “Vasarium” (o Milliaria)
costituito dai tre grandi vasi sovrapposti di rame B (Calidarium o acqua calda), C (Tepidarium o acqua tiepida),
D (Frigidarium o acqua fredda).
Quella specie di campana in basso a destra era il clypeo, il grande scudo di bronzo – apprendiamo sempre dal Palmeri
– che si abbassava ed alzava per mezzo di catene per
accrescere o diminuire il calore delle altissime (circa 16 m) sale a volta, quelle a destra riservate agli uomini e
quelle a sinistra alle donne (i tramezzi
o separé centrali non sono disegnati per chiarezza). Si notano anche i
sofisticati sistemi di canalizzazioni, le tubazioni, i rubinetti o “cavole” usati
dagli inservienti o “bagnajuoli”
(vedili anche in CA 6 - La doccia di Termini) per versare o “spillare” l’acqua.
Più chiara e dettagliata, pur “in enigmatis breviaturis”
(come, ad esempio, nell’intestazione),
l’incisione di destra che mostra Archimede,
alzatosi dal “soglio” o tinozza A in cui si era lavato, che misura il
livello dell’acqua abbassato esattamente di un palmo.
Questo particolare tecnico, evidentissimo dall’immagine, non è stato finora
rilevato da alcun commentatore (almeno
moderno e per quello che mi risulta), anche perché nel pur minuzioso
commento Cesariano non scioglie il
significato della C vicino al mignolo
della mano sinistra del grande siracusano.
Nella vignetta si individuano
chiaramente, oltre al “Vasarium”,
la corona d’oro H, la corona
adulterata K, una massa sferica
d’oro D e una massa sferica
d’argento E (più grande di quella d’oro). Imponendo quest’ultima nel cilindro
calibrato F si raccoglie
l’acqua effluente nel vaso G e tutti
i “geometri”, conclude Cesariano, conoscendo le misure
ponderali, lineari e vasarie (volume) possono agevolmente fare i semplici calcoli del caso.