RE
46 – Il “fine” di Archimede (6.6.2012)
Giustizia aleatoria (forza bruta)
Giustizia certa (forza
della ragione)
Alla
particolare attenzione dei Chiar.mi Prof.ri
Daniele Gambarara –
Università di Cosenza
Marco Ceccarelli –
Università di Cassino
Tre
mesi fa (vedi RE 40) richiamavo l’attenzione di
amici e addetti ai lavori sulla tautologia del cosiddetto “principio” di Archimede,
oggi invece cercherò di aggiungere qual era il vero “fine” delle elucubrazioni “balneari”
del geniale filosofo siracusano, ossia spiegare “In qual modo la portione del argento mixta con lo
auro in la integra opera se possa deprehendere et
discernere”
(Architettura di Vitruvio, Libro IX,
Cap. III, reperibile in rete in decine di
edizioni, ad esempio al Max Planck
Institute ECHO).
Il
furbo orefice, come i lestofanti di ogni tempo, pensava di nascondere la sua
disonestà nell’inadeguatezza del sistema giudiziario di valutazione “a peso” (ad sacoma) simbolizzato dall’arcaica e
rozza “Bilancia della giustizia” (immagine a sinistra), ma fu inchiodato alle
sue responsabilità dall’indagine di Archimede,
tenente Colombo ante litteram (immagini a destra), che riuscì
elegantemente ad “assicurare” questo
reprobo alla Giustizia vera, quella basata sulle “prove” e sulla forza incontrovertibile della logica e del
ragionamento di tipo “matematico”.
Il
test della pietra di paragone (touch stone) a cui era stata subito sottoposta la corona
sospetta (indicium) non aveva sufficiente forza
legale e fu per questo motivo che l’adiratissimo Gerone incaricò Archimede
di trovare una prova schiacciante e giuridicamente valida della frode subita.
In altri termini, come negli ormai classici telefilm del tenente Colombo, il colpevole o il reato sono
noti a priori sia allo spettatore che al detective (non appena questi, grazie al suo “naso”, li
riesce a discernere),
quello che conta (ed è questo il plot che
appassiona lo spettatore!) è mettere alle strette, incastrare (deprehendere) il colpevole facendolo
cadere in trappola e cioè nel “principio
di non contraddizione”.
La
foto di sinistra (cortesia della Bilance
Blasi) è un esempio dell’aleatorietà del valore o “peso” delle cose e si riferisce ai miei acquisti, da giovane, di
materiale elettronico surplus venduto un tanto al kg: a volte mi capitava di
trovare un vero, piccolo “tesoro”, a
volte la classica romana “sola” (vedi AG 10 – Il minicalcolatore Edipo).