RE
45 – Il “Pozzo” senza fondo (14.5.2012)
Dedico questa breve scheda ad Andrea Pozzo (a destra
l’autoritratto) e alla sua opera più celebre, l’affresco sulla gigantesca
volta – quasi una “piazzanavona”
(al centro) – di S. Ignazio, la chiesa inglobata nel ripetutamente citato “collegio romano” dei Gesuiti, l’enorme
complesso che negli anni ha ospitato il Museo Kircheriano, la Biblioteca
Nazionale, il Ministero dei Beni Culturali, il liceo Visconti, l’Osservatorio
astronomico, ecc.
Un tempo i romani sostavano fuori S. Ignazio col naso all’insù in attesa del segnale orario del
mezzodì (vedi GV 26), ma sicuramente, da oltre tre
secoli, altri – assieme, nel periodo
estivo, a frotte di turisti – stavano all’interno di tale chiesa estasiati
a rimirare, sempre da sottinsù e rischiando la vertigine dei sensi, il predetto
“Trionfo di S. Ignazio” in cui la
luce divina s’irradia dal petto del Cristo colpendo S. Ignazio e lo specchio concavo col monogramma IHS (vedi RE 41, le splendide immagini su Google e, soprattutto, i due recentissimi
splendidi volumi monografici “Mirabili disinganni” e “Artifizi della memoria”,
pubblicati nel 2010 per il terzo centenario della morte del Pozzo),
mentre le mastodontiche colonne sembrano “sfondare” la
volta ergendosi verso il cielo o inclinarsi paurosamente, persino col rischio
illusorio di precipitare sugli osservatori, secondo che sono guardate dal “punto della prospettiva” (segnato sul pavimento) o dagli altri
punti della chiesa. In particolare, solo posizionandosi in corrispondenza degli
estremi della volta, dove il gioco prospettico – cioè la “verticalità” e lo “sfondamento” verso l’infinito o l’alto dei
cieli – è demolito, si riesce a scoprire il “trucco” del Pozzo, cioè
la vera giacitura “orizzontale” delle
colonne.
Oltre a questo affresco e alle “macchine barocche” di Roma (vedi
RE 43) e di
Mondovì (vedi H. W. Pfeiffer, Andrea
Pozzo a Mondovì, Cuneo 2010) Andrea
Pozzo ha lasciato molti altri capolavori: alcune cupole finte (S. Ignazio, Frascati, Vienna), una
infinità di pale di altari o degli interi altari solo dipinti (illuminante l’aneddoto di un chierichetto
che ruppe l’ampolla del vino avendola distrattamente posata su una mensola…
affrescata), lo stupefacente “corridoio”
di S. Ignazio, in cui la “volta” diventa un piatto “soffitto” (vedi su Google), il “refettorio” delle “Nozze di Cana” a Trinità dei Monti, ecc., e soprattutto i due
Trattati di Prospettiva, la cui “durevolezza”,
come rimarcato dal Pozzo stesso (vedi Ginevra Mariani, in “Mirabili
disinganni”, cit., p. 89), sopravvivrà alla “diurnità” delle moli
architettoniche.
Non potendo approfondire come vorrei quest’affermazione
apparentemente paradossale e coinvolgente “anche”
i rapporti tra pittura e architettura (Pozzo,
come gli addetti ai lavori ben sanno, è stato accusato di essere solo un pittore
e non un architetto), mi limito a rimandare alla tesi di laurea di Marcello Toma che, essendo architetto e
soprattutto pittore (i suoi “ingranaggi” mi hanno molto ricordato Reuleaux) ed
essendosi formato proprio “studiando e
copiando” fedelissimamente il citato “corridoio”
(vedi a sinistra il suo modellino in
scala 1:10), può con piena cognizione di causa asserire: “Non è minimamente da dubitare che il Pozzo
abbia stilato un vero e proprio progetto architettonico, con pianta, prospetti
e sezioni in quanto non avrebbe potuto costruire un simile apparato prospettico
basandosi su disegni approssimativi” (cap.
V – Anamorfosi e illusionismo) e all’affermazione equivalente (ed egualmente autorevole) di Filippo Camerota: “L’artista deve conoscere non solo le regole del disegno geometrico, ma
anche quelle del disegno architettonico” (Il teatro delle idee, in “Mirabili disinganni”, cit., p. 25).