GA
42 – L’ASR di Saussure (12.3.2006)
2 – “Le sillabe che si
articolano sono impressioni acustiche percepite dall’orecchio, ma i suoni non
esisterebbero senza gli organi vocali” (CLG 1922,
23).
3 – “Non solo
l’impressione prodotta sull’orecchio ci è data in modo altrettanto diretto
dell’immagine motoria degli organi, ma è proprio essa, inoltre, che fa da base
naturale a qualsiasi teoria” (CLG 1922,
63).
4 – “Finché si ha l’impressione di qualche cosa di omogeneo, il
suono è unico” (CLG 1922, 64).
5 – “La catena acustica
non si divide in tempi uguali, ma in tempi omogenei, caratterizzati dall’unità
di impressione, ed è qui il punto di partenza naturale per lo studio
fonologico” (CLG 1922, 64).
6 – “L’immagine acustica
non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di
questo suono, la rappresentazione che ce ne dà la testimonianza dei nostri
sensi” (CLG 1922, 98).
Un esame minuzioso della segmentazione temporale
(le stanghette verticali sull’asse dei
tempi) della sequenza o catena (chaîne)
fonica BARBAROS o FENESTRA del Saussure – o dei suoi
editori, secondo il Gambarara (vedi
MO 14)
– con quella recepita dal De Mauro (vedi GA 38) o dall’Engler (vedi
Edition critique CLG, 1967 e immagini qui
sopra) è la prova più schiacciante, se mai ce ne fosse bisogno, dell’enorme
e deprecabile caos esegetico esistente – da
sempre, si badi – fra i linguisti e, nella fattispecie, della confusione
tra “durata” e “omogeneità” (qualità di
impressione) dei suoni.
Come si sa, e come io stesso ho da tempo sottolineato (vedi AG
9), il CLG è un libro
particolare, che tutti riconoscono quasi “sacro”
e studiano minuziosamente, ormai da un secolo, per penetrare le “rivelazioni” sull’essenza della lingua
che contiene. L’esegesi però dà frutti parziali e solo “accademici”, perché i linguisti, in genere orientati verso la
filosofia e l’esasperazione filologica (invece
che verso la fisica o la fisiologia, per esempio), restano impaniati in
problemi speculativi ed epistemologici che con la linguistica nulla hanno a che
fare. Solo Lucidi, credo di poter
dire, riuscì a liberarsi da tali pastoie extralinguistiche.
Dal canto loro
gli ingegneri e gli scienziati diciamo “positivi”,
comunicano male con i linguisti “filologi
ad oltranza”. Io, per esempio – vuoi per formazione e vuoi, soprattutto,
per “limiti di età” – non sono
riuscito ad impadronirmi del “linguaggio
dei linguisti” e recentemente mi è accaduto di rammaricarmi con il Gambarara della
mia inadeguatezza a leggere il lavoro della Marchesi
sul Saussure che mi aveva
consigliato, come pure ad approfondire gli scritti per me troppo specialistici
del De Mauro (Introduzione alla semantica, 1965), del Bouquet (vedi in rete) o del Poole (vedi in rete) sull’arbitrarietà
del segno. Nondimeno continuo a parlare di cose “della” lingua, anche se non “nella”
lingua dei linguisti, e senza curarmi di ricostruzioni filologiche. E senza
altri indugi passo subito al tema di questa News,
utilizzando le sei brevi e pregnanti frasi che riporto qui sopra nel riquadro
di intestazione (per la prima vedi GA 39) e che ho
estrapolato dal CLG – testo dove,
detto per inciso, si trova tutto e il contrario di tutto.
Il modo migliore per capire
il pensiero di Saussure sulla ricerca
dei “fonemi perduti” (vedi GA
39), anzi depositati nell’inconscio del parlante, è ricorrere al paragone
del riconoscimento automatico del parlato (Automatic
Speech Recognition o ASR) con
programmi informatici ormai diffusissimi e affidabilissimi, come ad esempio il
celebre Dragon Naturally Speaking che riconosce il parlato
continuo con precisione quasi assoluta. Come già rilevato nel mio Etica e Fonetica (AG 13,
§ 1.4) questi programmi funzionano
meglio con una dettatura fluida, mentre al contrario le pause, le esitazioni e
in generale il parlato scandito peggiorano la qualità del riconoscimento vocale
da parte del programma.
L’analisi delle due “catene”
saussuriane, l’articolatoria e l’acustica (vedi
diagramma), sostanzialmente non è diverso dall’esame dell’oscillogramma
fonico (vedi AG 41): in tutti i casi non è possibile
individuare il punto esatto dove finisce un suono e ne comincia un altro (citazione 1) e cioè non si può
suddividere il continuum fonico né si
possono rintracciare i confini sillabici, ma tuttavia, si badi bene, la
segmentazione si ottiene lo stesso grazie ai sofisticatissimi algoritmi
dell’elaborazione informatica. In modo del tutto analogo al “cervello elettronico” opera il “cervello umano”, quando riconosce ed
estrapola da un continuum verbale
quei “tempi”, non uguali bensì “omogenei” (citazione 5), di cui parlava Saussure.
Gli zelanti allievi del maestro ginevrino – e
dopo di loro i linguisti tutti, presumo – inseguivano una segmentazione a
livello acustico e/o articolatorio, in sostanza a livello fisico, invece per Saussure la suddivisione è a livello
psichico, in una terza catena astratta e per così dire “in uscita” dall’elaborazione inconscia del parlante. “Ogni unità della catena fonica –
secondo, ad esempio, il Gambarara (loc. cit.) – rappresenterebbe
un tempo omogeneo (indipendentemente dalla sua durata) e verrebbe riconosciuta
in base alle loro differenze”: a mio avviso questo modo di vedere il
problema della “omogeneità” dei
fonemi, ad esempio della parola BARBAROS,
è alquanto contorto. Con Saussure (citazione 4) invece tutto diventa più
chiaro attribuendo l’“omogeneità” non
ai vari fonemi posti sull’asse diacronico, ma a quelle “immagini acustiche” (vedi
GA 38) caratterizzate “dalla stessa impressione o dallo stesso
effetto acustico”, per cui il parlante riconosce una t, una n,
ecc. a prescindere dalle singole
realizzazioni, esattamente come fanno i programmi ASR dei computer.
L’ASR
è indubbiamente una pietra miliare nella ricerca linguistica, ma alle tappe
successive potranno e dovranno portare contributi importanti, se non decisivi,
le scoperte di Lucidi e di Buccola (vedi, per esempio, BU 76) e la
telelinguistica di Gaeta (vedi, per esempio, AG 14).