7. L’orma della parola
Possiamo sintetizzare i concetti sin qui esposti impostando la
proporzione
che costituisce il leit motiv di
questo Atomo e che presto estenderemo
anche al rapporto tra segno non tecnificato e segno tecnificato (iposema):
Edison 1 (1877) : Edison 2 (1888) = Fonografo (mod. vert.) :
Logografo (mod. orizz.)
Per cercare di colmare o rischiarare quella zona d’ombra, di una decina d’anni[1],
tra il “fuoco di paglia” o l’euforia
del primo fonografo[2]
e l’inizio vero e proprio, cioè scientifico, della riproduzione sonora – che si
svilupperà e si reincanalerà nell’alveo o, letteralmente, nel solco tracciato dai primi logografi – bisogna, per prima cosa, capire
bene cos’era l’Edison primario, ossia il
fonografo per antonomasia.
Uso di proposito l’attributo “primario”, e non semplicemente “primo”,
per rimarcare la primitività o primordialità di questo apparato, la cui
sconcertante semplicità o apparente banalità – paragonabile a quella del telefono a cordicella,
di cui, peraltro, il fonografo è un derivato – balza evidente da questo gioco
scientifico d’altri tempi:
Si tratta di una variante della notissima raganella (crecelle, cricket, rattle, ecc.) con cui si trastullavano i bambini
(nel periodo di Pasqua, in certi paesi):
una qualsiasi ruota dentata (anche di legno,
cartone, plastica, ecc.) battendo un ostacolo flessibile (anche un cartoncino) produce dei suoni
la cui “musicalità” veniva studiata
dai fisici in una versione un po’ più scientifica, la ruota di Savart (seconda e
terza figura).
Ora, se il profilo di questa ruota invece di avere denti
regolari ha i “dentelli” di Edison (vedi Lucidi News
56 e 57), voilà, abbiamo un fonografo! Ma come si fa a mettere queste tacche ai bordi di una ruota? Ecco come fece Edison, nella prima descrizione del fonografo (di E. H. Johnson, Scientific American, 17 Nov. 1877).
Il geniale inventore applicò un piccolo cesello o punzone[3],
come quello ingrandito all’inizio di questo capitolo[4],
sul fondo di un cilindro A identico
al “trasmettitore” di un telefono a cordicella (un bicchiere di plastica va benissimo)
in modo che questi intaccasse una zona di carta scorrevole (come nella Morse a secco), piegata a /\ per essere cedevole ai “colpi” del
cesello. Le deformazioni plastiche
subite dalla carta servivano a “restituire
i colpi” ad un bicchiere “ricevitore”
B identico al primo. Il passaggio
poi dalla striscia di carta a un foglio di stagnola su un cilindro è intuitivo.
Il fonografo allora non conserva né vibrazioni sonore, né
ductus, né “segnali”, ma soltanto
orme,
tracce,
impronte
come quelle di passi su fango o neve[5].
Le vocali “fonografate”[6]
presentate all’inizio del capitolo sono una conferma dell’essenza del
fonografo: la lavorazione a sbalzo di un materiale duttile sotto i colpi della
parola.
[1] Grosso modo dal 1878-1888, l’epoca della fulgida attività di Gabriele Buccola.
[2] La ressa e la curiosità della gente era tale che una volta stava per crollare un pavimento!
[3] Si badi bene a non confondere questo indenting o embossing con l’engraving di grammofoni, logografi, Edison secondario, ecc. in cui lo stilo è incisore e asporta trucioli di cera dai cilindri, come nel tornio:
[4] Da Engineering, 8 marzo 1878 (il martello l’ho aggiunto io, per chiarezza didattica).
[5] Su impronte e grafismi si leggano i lavori di Javal (Fonti on line) e Vignini (Buccola News 51).
[6] P. Frazer, Examination of
the Phonograph Record under the Microscope”, Engineer, 24 Maggio 1878.