6.
Logografi e Fonografi
Nell’enciclopedia Treccani, mi pare, la voce “fonografo” rimanda a “grammofono”. Non è che le due macchine
vengano confuse o assimilate tout court,
le differenze principali[1]
sono senz’altro evidenziate, ma mi sembra un sintomo eloquente della
superficialità in genere riservata allo studio tecnico-storico della
riproduzione sonora.
Per prima cosa converrebbe sgomberare il campo dalla
confusione tra produzione e riproduzione sonora, che possono
rispettivamente farsi risalire alla macchina parlante di Faber[2]
e al fonografo di Edison. Il primo
affrontò il problema dal versante più complicato, quello fisiologico, cercando
di riprodurre le cause meccaniche
della fonazione, il secondo invece, genialmente, si limitò agli effetti delle vibrazioni sonore, senza
curarsi né della loro sorgente né tanto meno della loro natura[3].
Un’altra distinzione basilare riguarda poi i fonografi “parlanti” e quelli soltanto “scriventi”.
Questi ultimi, molto numerosi e ovviamente anteriori al fonografo di Edison (disegno a destra), li chiameremo, per
chiarezza didattica, “logografi” (disegno a sinistra[4]),
anche perché queste macchine erano principalmente finalizzate ad usi
stenografici, cioè alla registrazione automatica della voce degli oratori[5].
Il 30.4.1877 Charles
Cros, un insegnante di sordomuti (anche
lui!), aveva depositato all’Accademia Francese delle Scienze uno scritto
sigillato relativo ad un apparecchio che avrebbe permesso di riascoltare la
voce dei morti, o dei moribondi, e denominato per questo “paleofono”. All’apparizione del fonografo Cros cercò di rivendicare la priorità, almeno, dell’idea di una registrazione fonoautografica fotoincisa (cliché, clichage),
sia in rilievo che in intaglio, che poteva utilizzarsi per riprodurre
il suono originale facendo “reagire uno stilo su un diaframma”. L’abate Leblanc tentò anche di realizzare l’idea
di Cros, ma questi comunque morì in
miseria, nell’oscurità[6].
Essenzialmente, si badi, questi logografi, fonoautografi, fonoautoscopi, paleofoni, chimografi, ecc.
erano basati sull’idea dello scrittore di pronuncia, quindi è
naturale che i loro diaframmi, stili,
setole di cinghiale, ecc.
lasciassero segni orizzontali[7]. Edison invece aveva in mente un pronunciatore
di scrittura, essendo partito dalle vibrazioni verticali di una membrana del tipo del telefono
Bell[8].
Le due immagini seguenti illustrano queste “modulazioni”,
rispettivamente, orizzontale e verticale:
C’è di più: le membrane di Barlow, Scott, Cros, Rosapelly, ecc. e successivamente, anche di Berliner (grammofono), Bell e Tainter (grafofono), Lioret (lioretografo di celluloide), ecc. e, almeno parzialmente[9],
del secondo
Edison (cioè il “fonografo
perfezionato”, a cilindri di cera, del 1888), con i loro snodi, leve,
squadre a L, ecc. registravano in realtà un mix di pressione
dell’aria, vibrazioni sonore e, soprattutto, vibrazioni proprie[10].
Invece, come vedremo, le membrane del primo Edison (alcune raffigurate qui sotto), malgrado l’apparenza, non
registravano nessuna vibrazione!
[1] Vedi Lucidi News (passim) e, specialmente, Lucidi News 69.
[2] Vedi Lucidi News 72.
[3] Vedi A. Niaudet, Téléphones et Phonographes, Parigi 1878.
[4] A rigore questo disegno, da P. Blaserna, La Teoria del suono, Milano 1875, raffigura il celeberrimo fonoautografo di Scott e non il logografo di Barlow, di cui non mi è riuscito di rintracciare un disegno. Queste due macchine scriventi, o “fonografi muti” che dir si vogliano, sono però del tutto assimilabili.
[5] Superando, per esempio, le complicazioni del glossografo Gentilli (vedi Lucidi News 14).
[6] Vedi T. Du Moncel, Le Téléphone, le Microphone et le Phonographe, Parigi 1878.
[7] Su supporti di nerofumo:
[8] Si ricordi anche il “giocattolo filosofico” (fonomotore o vocal engine, vedi Lucidi News 11) inventato da Edison in contemporanea col suo fonografo!
[9] Perchè
ha uno stilo inclinato. Vedi O. D. Chwolson, Traité de Physique, Parigi 1908, I, p. 1054.
[10] Si vedano, per esempio, E. W. Scripture, Speech curves (1905), V. Cocco, Membrane ecc. (1940), ecc.