71 – L’aratro di Pigliacampo

 

Non so se Renato Pigliacampo (vedi foto) abbia mai solcato avanti e indietro un campo di grano con un aratro tirato da buoi, di certo ha “arato” il campo della cultura col “vomere” della sua penna. Prima però di andare avanti occorrono alcune parole introduttive a beneficio di chi non conoscesse né questo autore né il famoso “indovinello veronese”, il più antico documento del “volgare” italiano.

Pigliacampo è persona eccezionale, per più aspetti. Pur essendo non udente ha conquistato cattedre universitarie e pubblicato poderosi saggi di psicosociologia, battendosi soprattutto per la causa dei sordi italiani (notizie e suoi scritti si possono trovare in rete, anche tra le mie News). Io non lo conosco molto, ma dalla sua recensione al mio opuscolo sull’iposema di Lucidi e, soprattutto, da qualche email privata che da qualche anno ci scambiamo, mi sono convinto che egli è il solo che abbia intuito la natura e la portata delle scoperte di Lucidi. Forse, paradossalmente, perché è sordo!

Se pareba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba”. Tutti i liceali sanno che questa scena agreste rappresenta non solo l’aratura e la semina, ma sottende almeno un’altra interpretazione e cioè l’atto della scrittura: i buoi raffigurano le dita della mano che tengono una penna d'oca bianca (albo versorio) che lascia sul foglio il segno (semen) scuro dell'inchiostro. Il “versoio” (versor) elicoidale dell’aratro che rivolta e dissoda le zolle rimanda poi al “verso” poetico, mentre la “semina” può essere vista addirittura come metafora dell’atto sessuale.

Più in particolare, distinguendo nell’aratro il “coltro”, cioè la lama verticale anteriore che apre il solco; il “vomere” che taglia la terra orizzontalmente; e il “versoio” che rovescia la terra fuori dal solco da un unico lato, il paragone calza alla perfezione con l’inizio della vera e propria “grafia” che, come ricorda Vignini, “non è una semplice impronta o impressione, ma impressione e movimento di una punta solcante combinati” (vedi Buccola News 51).

Ciò detto, senza divagare oltre, torniamo al tema di questa News. In una lontana discussione telematica (26.1.02) sulla maggiore genuinità della “lingua dei segni” (quella dei sordomuti) rispetto alla “lingua” che gli dei, a detta di Voltaire o Talleyrand, avrebbero dato agli uomini “per mascherare e non per esprimere il pensiero”, Pigliacampo ebbe a dirmi chela pressione della penna del sordo che scrive, anzi “solca” addirittura il foglio, è maggiore rispetto a quella della persona udente”.

Questa osservazione potrebbe quasi certamente essere confermata con prove sperimentali al leggio di Colucci o di Kraepelin o con più moderne “bilance di scrittura”, trovando forse qualche eccezione, a cominciare dalla “firma” (vedi) dello stesso Pigliacampo che, almeno all’esame “superficiale” – cioè grafologico e atemporale – si presenta con fisionomia equilibrata e scorrevole. Con l’approfondimento scientifico però si potranno discriminare le scritture “partecipate” e fisiologicamente ridondanti, irruenti, contorte, spasmodiche dalle scritture “spensierate” e fisiologicamente equilibrate, sane. Le prime, si badi, “aprono” il solco, le seconde lo “seguono”.

P. S. – Prima di licenziare questa pagina aggiungo qualche riga per cercare di prevenire l’errore in cui continua a cadere l’amico Di Trocchio e cioè di scambiare per banalità la chiarezza delle mie News, in particolare quella dell’effetto Dragoni. Lì si è trascurato il riferimento alla legge degli errori di Buccola, in questa – che riassume le idee guida dell’ultimo capitolo (omesso) del mio travagliato opuscolo dell’iposema – si potrebbe liquidare l’ultimo periodo con l’ovvietà del “sentiero battuto” nel bosco, del battistrada, dell’apripista, ecc. (vedi, per esempio, Il segno vivente del Pagliaro). Per interpretare bene il mio pensiero invece occorrerebbe aver letto preventivamente tutti i miei scritti sul fonografo (soprattutto AG 16) o, in alternativa, prendere una laurea in ingegneria e studiarsi, per esempio, H. E. Roys, Disc recording and reproduction, per capire la differenza tra una testina o “testa” (si dice così!) di incisione e una di lettura (nei dischi microsolco).

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