93 – Commenti a “L’iposema di Lucidi

Questa pagina è a disposizione di chi vuole entrare nel merito del mio lavoro L’iposema di Lucidi

Intervento di Congiu Castellano (31.10.05):

Preg.mo Prof. Gaeta

Ho letto con attenzione i lavori e la documentazione che mi ha inviato.

Penso che un giudizio approfondito su questa materia richieda delle competenze che io non posseggo. Tuttavia dal punto di vista delle mie conoscenze di Fisica, ritengo che i suoi scritti siano scientificamente corretti, interessanti e che meritino di essere oggetto di una analisi più dettagliata secondo una ottica multidisciplinare. La saluto cordialmente. Agostina Congiu Castellano

 

Intervento di Gaeta (3.11.05):

Cari linguisti e accademici,

nel sollecitare quei cinque o sei di Voi che mi hanno promesso qualche osservazione, pubblicabile o privata, sul mio ultimo lavoro sull’iposema di Lucidi, vi informo che ne ho messo in cantiere una seconda edizione, ampliata, più chiara e soprattutto privata di orpelli polemici. Anche per questo motivo ogni Vostro commento, anche marginalissimo, sarà il benvenuto.

Grazie. Cordialmente. Gaeta

 

Intervento di Dragoni (5.11.05):

Caro Professor Gaeta,

l'Atomo n. 16, L'iposema di Lucidi, che mi ha gentilmente inviato mi ha molto interessato, e, quindi, fatto riflettere su tutta una serie di fenomeni che si manifestano nel mondo animale (uomo incluso) e che, solitamente, vengono interpretati in maniera "individuale", cioè, separati gli uni dagli altri, e considerati diversi tra di loro. In realtà, lei, giustamente, sulla base di una tradizione risalente, come dichiara esplicitamente, a Lucidi, Buccola, Pieraccini ne sottolinea il profondo, sotteso, aspetto unitario.

Una citazione specifica, e generalizzabile a molti altri casi e attività, da lei riportata è tratta dall'opera di Pieraccini e sostiene che questi : "... studiando le "palate" di sterratori, le "picconate" degli spaccapietre, le "movenze" del sistema mano-braccio-tronco dei muratori... scoprì che esistono veri e propri "stili" e vere e proprie "scuole" di esecuzione di tali lavori. Non solo il ritmo, la cadenza, il movimento pendolare dinamicamente equilibrato, riducono, come è noto, lo sforzo fisico, ma attenuano anche il senso della fatica psicologica." (Atomo 16, op. cit. p. 5).

È un effetto, questo ripreso dal suo testo, che mi trova in perfetta consonanza. È, forse, l'indice di un rinvio, in certe attività consce, ma ripetitive, all'uso di facoltà inconsce, ma attive, o attivabili, appunto in questo modo, durante queste attività.

Le confido un mio ricordo personale. Tanti anni fa, per mantenermi agli studi e per difficoltà economiche familiari, ho fatto molti lavori, tra cui, a lungo, quello del correttore di bozze per Zanichelli, ma non solo. Allora mi accorsi, nel corso di questo mio lavoro, che questa operazione richiedeva almeno due fasi. Una cosciente, di attenzione e concentrazione vigile sul testo, ma anche un'altra, quasi inconscia, in cui scorrevo il testo senza leggere le parole. Ogni tanto, misteriosamente, o per un segnale interiore, mi fermavo su un punto per controllare lo scritto. Molto spesso ero di fronte a un refuso. Altri, forse, nelle mie stesse condizioni lavorative, hanno riscontrato questo effetto.

Non so se lei condividerà questa analogia con i casi da lei segnalati, a me pare che sussista. Il punto è, comunque, che lei ha perfettamente ragione quando rinvia a qualcosa di "ritmato", "cadenzato", un qualcosa che sta dietro, sotto, a molte attività.

Sono quindi perfettamente d'accordo con lei, per quanto può valere la mia opinione, sul significato da lei dato al termine "iposema" (e sul suo valore funzionale). Indica "sottosegno" e rimanda, come lei dice, quasi a una sottospecie del "sema", a qualcosa di subordinato, di sottomesso a un "padrone", ma in realtà le cose stanno in modo diverso, anzi esattamente opposto. Non per nulla il titolo di questo lavoro doveva essere "Il segno tecnificato. L'iposema di Lucidi".

Complimentandomi con lei, le auguro buon proseguimento dei suoi studi e le invio un cordiale saluto.

Cordialmente. Giorgio Dragoni

 

Intervento di Pigliacampo (8.11.05):

Sono convinto che il segreto del linguaggio sia proprio nell’iposema, nell’analisi profonda, totale, che  esso ci trasmette. Ma trasmette che cosa? Forse è meglio affermare veicola? Secondo un buon dizionario trasmettere ha il significato “far passare una cosa da una persona ad altra persona”; per esempio  trasmettere un diritto, una malattia, un ordine. Veicolare indica trasportare, è il mezzo utilizzato nel “trasportare” un contenuto. Dunque l’iposema è la genesi che trasmette (il sema) che sfrutta o utilizza il codice (il veicolo)  nel quale c’è il contenuto. Il fatto che i linguisti abbiano portato l’attenzione sulla lingua, sul linguaggio e sulla comunicazione va tutto al loro discapito! Se la traccia precede la scrittura di fatto l‘iposema precede il segno. Ma si rivela una proposizione considerata, di solito, solo alla fine (il segno). Per approfondire meglio ci rifacciamo alla dedica autografa di D’Annunzio per un’amica, in cui scrive: «… i suoni brevi del martello e i suoni lunghi dell’incudine…». Questa dedica sibillina ha in sé l’iposema, considerazione che si presenta in diversi significati a seconda della trasmissione tecnificata, assoggettata, domata, segnata nei segni dei sordi (…). L’iposema è il proto-messaggio. Oggi non riusciamo più ad individuarlo nella cloaca delle trasmissioni. È evidente che il medium di McLuhan segue  - e non precede - l’iposema di Lucidi. Quello ha capito il mezzo, quest’ultimo il principio. Da qui nasce la disputa principale perché, attorno al tavolo per discutere l’argomento di fondo, che sfugge a troppi, si siedono linguisti puri (come Tullio De Mauro), psicolinguisti del LAD (come Chomsky), filosofi del linguaggio (come L. Wittgenstein), semiologi (come Umberto Eco) e antropologi con interesse linguistico (come Leroi-Gourhan). Ciò non vuole essere una tirata di orecchi nei confronti degli illustrissimi studiosi, ma il fatto di “vedere” la questione prettamente dal loro campo o “punto di vista” ne esclude la ricerca… dell’iposema.  Il problema della comprensione dell’iposema induce (anche) dapprima a capire noi stessi facendo una riflessione wittigensteiana «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere» (cfr. Tractatus logico-philosophicus). Prendendo alla lettera Wittgenstein per il quale le proposizioni filosofiche sono illustrazioni, immagini logiche degli stati di cose  che incontriamo nella vita, si può  dire che ci è impossibile  chiamare le cose nella loro essenza se non veniamo a patti con l’iposema! Dacché tutti gli “oggetti” o “enti” sono teorici e non solo quelli generalmente riconosciuti come tali, per esempio gli elettroni, ma anche quelli ritenuti osservativi, come per esempio i gatti. È la posizione di Quine. Gli oggetti fisici sono postulati culturali. Nella concezione di Lucidi e Buccola i postulati culturali sono le parole, l’iposema è la mente o il cuore, fate voi!

Quando la vicenda di salute di Nietzsche aveva indotto il filosofo a servirsi della macchina per scrivere, egli scopre che gli strumenti di scrittura lavorano sui nostri pensieri. Infatti, se non fosse vero, i nostri segni scritti sarebbero sempre prodotti in modo disuguale e diverrebbero indecifrabili persino a noi stessi. La scrittura a mano è un’attività neurale. Miliardi di cellule nervose ordinano il movimento dei segni. Agiscono attraverso la mano. Abolire la manoscrittura è un alto rischio psicolinguistico e neurale per lo sviluppo cerebrale dei bambini. Gli studi sulla LIS (la lingua dei segni italiana) dei segnanti hanno documentato col PET (tomografia a emissione di positroni) che la parte cerebrale del cervello, deputata alla motilità, si irrora maggiormente di sangue quando si segna rispetto a quando si parla. Ecco che il discorso – complesso ma interessante – si sposta sulla mano. Il genio di Leonardo da Vinci aveva compreso con quale macchina, “semplice e perfetta”, aveva a che fare. Le mani hanno una motilità e flessibilità straordinarie. Esse dialogano col mondo “esterno”, vale a dire con le cose. Ma forgia anche il pensiero. Ce ne avvediamo nei sordi o audiolesi di nascita segnanti, ossia esposti da sempre all’apprendimento della lingua dei segni. Le loro mani sono la loro lingua (in senso fisiologico). E se i muscoli della mano sono quelli di tipo psichico (cfr. N. Vaschide) dobbiamo ammettere allora che la verità della comunicazione, l’iposema maieutico socratico, sia proprio nei segni significativi dei sordi (sic).

Ecco la veridicità che  « (…) la macchina da scrivere è una nube senza segni…» (Nietzsche). Nella maestria della mano, che traccia nello spazio neutro o sulle “zone segniche” del corpo i segni, rinasce o rivive o si manifesta l’essenza del sema lucidiano e buccoliano affinché la parola non sia più mera moneta di scambio nel contesto sociale mercemonico, ma profondità del nostro esistere nel movimento. Non è un caso che un genio della poesia, Giacomo Leopardi, sia facilmente “interpretabile” in lingua dei segni dei sordi (in questo caso la Lingua dei Segni Italiana, LIS) perché, essendo un poeta sinergico, riusciva ad impregnare il verso di visività e udibilità. Purtroppo oggi noi siamo: o sordi o ciechi. Privandoci dunque della scoperta dell’iposema. Renato Pigliacampo

 

Intervento di Uberti (12.11.05):

Caro Gaeta,

prescindendo dalla mia perdurante carenza di tempo, devo dirLe che, mentre leggo sempre con molto interesse i Suoi scritti - che sovente giro a quelli dei miei amici che ritengo interessati alla loro lettura - dissento fermamente dai Suoi attacchi personali al prof. De Mauro così come i Suoi continui sforzi di coinvolgimento di altri Studiosi in questioni altrettanto personali. Nessuno è obbligato ad interessarsi a cose che non lo interessano e, per spiegarmi con un esempio che non tocchi altre persone, Le parlo di me.

Detesto cordialmente i giochi televisivi e, di conseguenza, il Bitnick non mi interessa. Al contrario mi interessano moltissimo i Suoi scritti sugli aspetti insoliti della linguistica che Lei coltiva e, come Le ho appena detto, li diffondo anche. I due fatti non sono in contraddizione fra loro.

Per quanto riguarda me, non ho mai sentito il bisogno di riconoscimenti formali del mio lavoro e quindi non capisco molto la ricerca degli stessi da parte Sua. Le cose valgono in quanto valgono intrinsecamente e non perché hanno riconoscimenti formali del loro valore e quelle che effettivamente valgono prima o poi hanno un ritorno positivo, soprattutto con le possibilità date dall'Internet.

Piuttosto, in tutta amicizia devo dirLe che codesto Suo comportamento Le nuoce perché non tutti sono disposti a non tenerne conto pur di leggere le cose interessanti che scrive. Lo stesso vale per il Suo coinvolgimento in attività didattiche o di ricerca.

So di essere stato brutale, ma è proprio per amicizia che Le dico queste cose; se non le fossi amico metterei semplicemente un filtro alle Sue mail così come ho già fatto per le persone dalle quali non desideravo essere importunato.

Cordialmente. Mauro Uberti

 

Intervento di Gaeta (12.11.05):

Mi illudevo che le puntualizzazioni di un mese fa (Lucidi News 84 e 88) avessero definitivamente spazzato le nebbie o il nefasto “velame” sull’apparente mia “aggressività” verso linguisti viventi, o defunti. Nel ringraziare, veramente di cuore, l’amico Uberti della franchezza di cui mi onora (la franchezza non è mai brutale, l’ipocrisia sì!), sono costretto a ripetermi: non ho mai rimproverato a nessuno il “non interessarsi a cose che non lo interessano”. Ho solo erroneamente creduto, certo per mia colpa, che qualcuno, ad esempio l’amico Gambarara, fosse realmente, profondamente e coerentemente interessato a Lucidi, all’iposema e alla telelinguistica, e mi sono regolato di conseguenza.

 

Intervento di Brenni (16.1.06):

Caro Gaeta,

mi scuso per il notevole ritardo con il quale le scrivo. Ho letto con interesse l’opuscolo “L’iposema di Lucidi - L’inerzia di De Mauro” (Gli Atomi -16) così come leggo con piacere le gustose e sempre stimolanti note (le news) che lei mi invia tramite posta elettronica.

Come lei sa sono uno studioso di strumenti scientifici antichi e non è mio compito né mio desiderio giudicare i suoi articoli che spaziano anche in campi di cui conosco ben poco quali la fonetica, la psicologia sperimentale, la linguistica, l’acustica, l’estetica, la semantica per non citarne che alcuni. Quello che però apprezzo nei suoi articoli e nelle sue note è l’approccio multidisciplinare e trasversale. Approccio certamente stimolante che permette di collegare studi, discipline, tecniche, macchine e strumenti (e anche qui la lista potrebbe essere assai lunga)  in maniera originale, a volte oserei dire spericolata ma sempre intrigante.

Ne “L’Iposema di Lucidi” ho ritrovato ad esempio molti strumenti da me conosciuti (fonografi, logografi, telegrafi, ecc.) e le sue osservazioni sulle tracce da essi prodotte e sulle analogie che queste fanno nascere con altre macchine ed utensili mi hanno veramente interessato.

Non posso dunque che incoraggiarla nelle sue ricerche che leggerò sempre con piacere.

Cordiali saluti. Paolo Brenni

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