BE 43 – Lo stato dell’arte elettrostatica (25.2.2008)

Per addentrarci nella elettrostatica beccariana e cercare di stabilire un nuovo concetto di “induzione” la strada maestra, come abbiamo detto, è studiare Beccaria tenendo in massimo conto le “suggestioni” di Melloni (vedi BE 41). Questa strada, però, è troppo impervia per vari motivi, cominciando dalla difficoltà materiale di disporre del ponderoso testo, anzi del “Trattato” [Beccaria 1772], e finendo con la ben maggiore difficoltà psicologica di affrontarne il linguaggio desueto – anche se, si badi bene, chiarissimo.

Proseguiamo dunque, a passi più piccoli, la strada delle Beccaria News, le quali, sia detto per inciso e a vergogna della menefreghista cultura italiana, continuano ad essere non solo prive di qualsiasi appoggio, morale e materiale, ma oggetto di pertinace e inspiegabile ostracismo. Basti pensare, come esempio, al vuoto appello sulla collezione Beltrame (vedi BE 15), la quale forse potrebbe servire per concretizzare una mia mezza di idea di esporre “a fumetti” i concetti più ostici della “nuova elettrostatica”.

Per assicurare solide fondamenta a questo nuovo edificio è necessario avere le idee chiare su quello vecchio, per poter capire ed eventualmente apprezzare le differenze tra i due sistemi. L’elettroforo di cui abbiamo già parlato (vedi BE 18, BE 37, BE 40 e BE 41) potrebbe essere un ottimo punto di partenza perchè, come ricorda Paolo Brenni (comunicazione personale del 21.2.08), è “certamente uno degli strumenti più intriganti e più interessanti dell'elettrostatica poiché il suo funzionamento racchiude non pochi principi fondamentali (condensatore, induzione elettrostatica, ecc.) e perché da esso derivano tutte le macchine elettrostatiche ad induzione (duplicatori, moltiplicatori, ecc.)”, ma purtroppo è conosciuto bene solo da chi l’ha sperimentato: in Italia quattro gatti (sicuri solo due, a esser maligni: Brenni e Fregonese), tra i quali, purtroppo, non posso annoverarmi neanch’io. Meglio ricorrere al più noto elettroscopio a foglie d’oro, di cui si ha una conoscenza almeno libresca (anche chi scrive, fisico ed elettrotecnico di professione, non ha mai adoperato un elettroscopio e, al più, l’ha visto in qualche vetrina di museo!).

Da un ottimo libro (R. A. Wohlrabe, Esperimenti di elettrostatica, Zanichelli 1969, p. 31) riporto allora le chiarissime immagini di questa News, che rappresentano lo stato dell’arte delle nostre conoscenze di elettrostatica dai tempi di Volta (non di Beccaria, si badi) e alle quali faremo riferimento tutte le volte che parleremo di carica elettrostatica per conduzione, per induzione, permanente, ecc.

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