BE 37 – Una lettera a Volta (18.2.2008)

                 

Un mese fa, alla fine della BE 18, invitavo a leggere e meditare [Beccaria 1772] se si voleva iniziare a capire qualcosa su adesione elettrica, snudamento, rivestizione, ecc., cioè dei mirabili fenomeni all’epoca detti di “elettricità vindice”, denominazione che, per chiarezza, ho ritenuto di mnemonizzare con l’espressione pittoresca, nonché “licenziosa”, di “spogliarello elettrico”.

Poiché dubito alquanto che qualcuno (neanche addetto ai lavori come gli amici Fregonese, Brenni o Dragoni) si sia dato la pena di seguire il mio consiglio, anche per la difficoltà oggettiva di disporre di questo libro (in tutta Italia ne esistono solo una ventina di copie, più o meno “guaste”, ingiallite, ammuffite e di fatto inservibili né per la lettura né, ancor meno, per lo studio scientifico), cerco di sopperire con qualche mia pagina, ma ribadendo che la strada maestra per capire Beccaria è leggere Beccaria, non surrogati di “pubblicistica” elettrica.

Nella seconda metà del Settecento la moda, la frenesia per le scienze elettriche era all’apice. Poiché Beccaria, che in vita era riconosciuto, anche se obtorto collo (vedi BE 32), come padre della scienza elettrica, nel libro citato aveva onestamente confessato di non capire la vera causa dei fenomeni – sperimentali, si badi – di elettricità vindice, ed anzi toglieva quasi ogni speranza che ci si potesse mai riuscire, molti, a partire dall’emergente Volta, raccogliendo questa “sfida”, si affannavano ad elaborare “teorie” ed a sfornare “principi” a non finire.

Tutto ciò si può ben percepire, credo, sorbendosi la lettera seguente, inviata a Volta dal già presentato Viglione (vedi BE 18) e stampata in [Viglione 1784], ponderoso libro di 500 pagine (nelle immagini di apertura il frontespizio e la prima pagina di un suo estratto in latino), come “discolpa” per aver aspettato la morte di Beccaria suo maestro prima di abbracciare le vedute del grande comasco e di esporre pubblicamente le proprie.

Per mitigare lo stile ampolloso, involuto e ripetitivo del Viglionesi pensi che questa lettera è già un riassunto di 50 fitte pagine tutte dedicate allo “spogliarello elettrico”! – preannuncio che in una prossima News diremo qualcosa di più chiaro e più concreto sull’elettricità vindice, fermo restando che, a mio avviso, essa è il punto di arrivo della speculazione scientifica elettrica, per così dire l’università, mentre noi, compreso ovviamente chi scrive, siamo ancora all’asilo.

La mia trascrizione, il più possibile testuale, acquista valore anche perché questa lettera, come la corrispondente della BE 18 , non figura nell’epistolario voltiano.

 

Sino dall’anno 1775 io aveva in pronto da pubblicare, quanto ora soltanto pubblico intorno alla causa, ragione, e maniera meccanica dell’inalterabile connessione dell’elettricità caricanti, di tutti li movimenti elettrici, dell’elettriche adesioni, e di tutti li fenomeni dal P. Beccaria mio Maestro alla vindice elettricità tanto negativa, quanto positiva attribuiti, la quale io trovai chiaramente espressa ed indicata da alcuni dei fatti, che lo stesso P. Beccaria scoprì, e ridusse a leggi verissime, e da alcuni altri scoperti da me medesimo, ed inoltre necessariamente connessa con due semplicissimi principi della teoria Frankliniana.

Per altro, trovandomi mio mal grado e contro ogni mia aspettazione dall’intrapprese ricerche, alle quali il P. Beccaria continuamente stimolavami e premurosamente, condotto ad un segno affatto lontano, anzi diametralmente opposto a quello, a cui era stato condotto il medesimo allora ancora vivente, comunque sapessi, che nella Filosofia e particolarmente nella ricerca della natura non si vuole arrecare alcuno spirito di partito, alcuna prevenzione, se non col pensiero e determinazione di ritenerla o deporla, a misura che si trovi coi nuovi fatti conforme o ripugnante, anzi deve arrecarsi una totale docilità, indifferenza, e prontezza ad abbracciare lietamente il vero, ovunque venga fatto di rinvenirlo, tuttavia il rispetto e gratitudine, che con verità ed apertamente posso gloriarmi di aver sempre mai nutrito verso chiunque ha avuto parte in qualunque ramo di mia educazione, e specialmente verso il P. Beccaria, che, oltre ad essermi stato Maestro, per il corso d’anni quattordici circa sempre ed in faccia a tutta la capitale mi aveva continuato una particolarissima affezione e distinto attaccamento, ed altri mottivi prudenziali punto non mi permettevano di pubblicare per allora interamente tutta la serie delle cognizioni ed idee, che pur mi trovava tra le mani ordinata.

Quindi è, che, quando mi presi la libertà per la prima ed unica volta di scrivere a VS. Illustrissima una mia lettera, accennandole il vivo mio desiderio di carteggiare con persona cotanto benemerita della scienza Fisica, e specialmente dell’elettrica, quale in lei riconosceva, le indicai aver io ritrovata nei semplicissimi principi della Frankliniana teoria la vera causa, ragione, e maniera meccanica dei fenomeni dell’elettricità vindice del P. Beccaria, restringendomi per altro a prometterle soltanto la pubblicazione di quella dei fenomeni della negativa, la quale era la meno principale, non in quanto che io intendessi allora di essere col P. Beccaria, asserendo, che la superficie della lastra di vetro appena caricata nell’atto dell’ignudamento e rivestizione perda dell’elettricità avanti l’ignudamento, ed infissale per la carica, e quindi la ripigli nell’atto della rivestizione, all’incontro, scaricata la lastra di vetro fino a certo segno, di nuovo la superficie d’essa nell’atto dell’ignudamento ricuperi l’elettricità caricante perduta per la scarica, e quindi la riperda nuovamente nell’atto della rivestizione, nel che consiste l’elettricità vindice del P. Beccaria prima negativa, poi positiva: ma solo in quanto che con una breve espressione volli esprimere d’aver ritrovata la causa, ragione, e maniera meccanica dei fenomeni dell’ignudamento e rivestizione della caricata lastra di vetro già dal P. Beccaria attribuiti alla sua elettricità vindice negativa o positiva, e mediante la medesima spiegati, denominando essi fenomeni colla stessa elettricità vindice, colla quale egli erasi già sforzato di spiegarli.

Certamente, avuto riguardo alla qualità mia di discepolo ed allievo del P. Beccaria, facile, anzi quasi necessario riuscir doveale il pensare, che del tutto con quelle del medesimo dovessero accordarsi le mie idee intorno alla proposta materia. Non è perciò meraviglia, se alla vista di mia lettera, che punto non le spiegava, ella pensò, che io dovessi da lei interamente discordare; come ben esprime la graziosa lettera, con cui mi rispose (vedi BE 18).

Meraviglia piuttosto mi arrecò e sorpresa lo scorgere, che senza alcuna reciproca comunicazione di nostre idee nei punti principali della stessa materia ci trovassimo d’accordo condottivi per istrade forse affatto diverse, di modo che l’uno non potesse di leggieri pronosticare la strada tenuta dall’altro. Ed i fatti sperimentali, ai quali l’altro si è appoggiato. Ma a tale meraviglia e sorpresa andò congiunta una non mezzana contentezza, della quale vera testimonianza potrebbe qui fare il Sig. Conte Leonardi Degnissimo Riformatore di queste Regie Scuole, cui siccome ogni cosa mia e la lettera, che le scrissi, già aveva confidato, così comunicai la sua risposta: giacchè non poteva desiderarmi una migliore e più chiara conferma di quanto mi pareva d’aver ritrovato nelle cose elettriche, partendo insieme dai fatti sperimentali e dai due principi di Franklin.

Questa contentezza non poco alleggerivami il dispiacere e ribrezzo di trovarmi in contraddizione col mio Maestro; e ben maggiore ella sarebbe stata, se le circostanze m’avessero permesso di liberamente pubblicare tuttociò, che io aveva in pronto sull’accennata materia, od almeno pubblicarne la parte meno principale, che io le aveva promesso di pubblicare fra breve, sorprendendola coll’inaspettata conformità di miei idee colle sue.

Vale a dire, essendomi portato in Torino alcuni mesi dopo averle scritto, cioè nelle vacanze di Pasqua dell’anno 1776 col fine di comunicare al P. Beccaria le mie idee intorno alla causa, ragione, e maniera meccanica dei fenomeni dell’elettricità vindice negativa con quell’ingenuità, docilità, e sottomissione a giudizio e disposizione del medesimo, con cui nella qualità di discepolo ed allievo per più di quattordici anni lo aveva trattato, quindi pubblicarle, egli mi persuase di sospenderne la pubblicazione, che disegnava di farne, mi insinuò di progredire oltre non disapprovando quanto gli aveva comunicato, e mi esortò d’indirizzare a lui quanto mi accadesse di scoprire ulteriormente, non comunicando ad altri le mie idee… Ma qui ella permetta, ch’io mi taccia, confessandole, che già aveva deposto ogni pensiero di pubblicarle, né lo avrei ripigliato, se non mene avesse persuaso quest’anno persona di singolare merito nelle scienze, a cui le ho comunicate, esortandomi a tradurre nell’italiana favella, quanto già aveva scritto nella latina, onde con nuovo coraggio ne intrappresi la traduzione, mutilandone alcune parti ad effetto di schivare ogni calcolo ed uso di figure, e diminuirne il volume, quantunque non senza pregiudizio della chiarezza, ordine, e connessione delle cose; e conchiuda col pregarla di non attribuire a volontà di mancare alla parola datale, ed a mancanza di quella stima, che ben è dovuta alla condizione, e molto più all’insigne suo merito e profondità nelle cose elettriche, il non aver mai più sin ora eseguita la mia promessa, né profittato di quel carteggio, ch’ella si era compiaciuta di accordarmi e gradire, ma bensì ad un complesso di circostanze, che dovevano farmi presso di lei reo di grave mancamento, comunque ne fossi veramente innocentissimo. Desidero, anzi spero l’occasione favorevole di meglio e con maggior comodo appurare a bocca e in persona presso di lei la mia condotta in questa parte. Intanto voglio, ch’ella gradisca questo stesso mio ritardo nel comunicarle tutte le mie idee e nel profittare del carteggio accordatomi, anche perché il ritardo mi pose in istato di farlo con maggiore ampiezza, estensione, e libertà: ed aspettandone in contrassegno dello sperato gradimento il suo ingenuo ed imparziale giudizio, le invio l’opera mia in pubblico attestato della vera stima ed ossequio, con cui mi pregio di essere.

Novara li 10 Novembre 1784                                  Devot.mo ed Obbl.mo Servitore

Gio. Francesco Viglione.

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