BE 40 – L’elettroforo di Don Marsilio (20.2.2008)

 

In tutto quello che ho pubblicato intorno al mio Elettroforo, io ho sempre parlato dell’Elettricità vindice: fin dalla dissertazione latina del 1769, ho spiegata la mia teoria opposta a quella del Beccaria”. Il quale, sono sempre parole di Volta (da una celebre lettera a Marsilio Landriani del 11 ottobre 1778), “volea che tutta l’elettricità delle faccie isolanti nell’atto della scarica si togliesse; e poi, nello staccar l’armatura, a spese di questa ritornasse addietro l’elettricità nella rispettiva faccia”.

Beccaria fa sicuramente uno studio più sistematico degli altri sui fenomeni di separazione tra molte combinazioni di lamine dielettriche e conduttrici. Non c’è dubbio che sul piano fenomenologico fa avanzare molto il settore rispetto ai predecessori” (L. Fregonese, comunicazione personale del 13 febbraio 2008).

Queste parole di Fregonese non solo rendono giustizia a Beccaria, indiscusso “scopritore” dell’altrettanto indiscusso “fenomeno” dell’elettricità vindice, ma mettono in guardia i troppi superficiali – compreso chi scrive, fino a qualche tempo fa – dal non confondere i “fenomeni”, con le “teorie” che li spiegano o tentano di spiegarli (vedi anche BE 36).

Di contro sarei più cauto dell’amico Fregonese circa la certezza (Non c’è dubbio ecc.) che questi concetti siano chiari “ancora oggi”: lo sono, forse, per quei quattro gatti che conoscono tutta la serissima faccenda dell’elettricità vindice, mentre invece il grande pubblico la considera una “barzelletta” o, al più, un “incidente di percorso” del Beccaria.

Non avendo né la possibilità né ancor meno la velleità di spiegare, in questa sede, la teoria dell’elettricità vindice mi limito, per onorare l’impegno preso nella BE 37, ad un telegrafico accenno ad una sua applicazione, il grande elettroforo (vedi immagine) del citato Landriani, descritto dall’autore in una lettera a Volta pubblicata in Scelta di opuscoli interessanti, 1776.

Su un tavolo con le gambe isolanti (colonne di vetro Z) c’è un grande “piatto” di materiale anelettrico in cui è stata versata una miscela elettrica (resina, zolfo, cera di Spagna, ecc.) e sul quale si può abbassare e alzare, a mano o a pedale, con un sistema di carrucole, uno “scudo” anch’esso anelettrico, di diametro minore di quello del piatto. Una volta caricato il corpo elettrico con un apparecchio (vedi BE 31) o strofinando una pelliccia di gatto, si notano evidentissimi e regolarissimi fenomeni di attrazione, adesione e repulsione tra lo scudo e il piatto.

Il buon funzionamento dipende da tantissimi fattori: perfetta omogeneità, compattezza e levigatezza del mastice, perfetto parallelismo di tutte le lamine, assenza di spigoli e di “punte” (dalle quali sfugge l’elettricità, sotto forma, come vedremo, di fiocchi o stellette), assenza di umidità, indeformabilità delle lamine (si noti la raggiera del piatto a ciò preposta).

Al centro dello scudo ritroviamo l’elettrometro di Henley (vedi BE 29 e BE 34 ) e al centro del tavolo, in basso, il supporto per la “boccetta di rinforzo” (inventata, questa sì, dal Volta).

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