34 – Il codice fantasma
Secondo la
vulgata corrente il codice Morse è formato solo da punti e linee, come se gli
spazi fossero accessori secondari, meno soggetti alle “regolucce” di timing ricordate, ad esempio, dall’amico Cavina. In realtà, come ben
evidenziato dal Saso e, soprattutto, da k3mt, gli spazi fanno parte come minimo “integrante”
dei segnali Morse, mentre le temporizzazioni “canoniche” risultano semplicistiche e surrettizie.
Nello schema
presentato, preso dalle dispense del Saso e con mie integrazioni sul
Morse americano, si vede la temporizzazione (timing) della frase IN ALL nel
Morse internazionale e in quello americano. Le differenze tra i due sistemi,
saltate subito alle “orecchie” dei
radioamatori che hanno fatto il test presentato nella News 29, saltano evidentissime anche agli “occhi” di noi profani della telegrafia.
Nel primo caso si ha una specie di “fettuccia
metrica” in bianco e nero, in cui è facile “vedere” segnali neri su fondo bianco oppure segnali bianchi su
fondo nero, come nelle più classiche illusioni ottiche; nel secondo caso invece
i “toni” (le zone nere, per intenderci) spariscono e vengono marcati soltanto
l’inizio (down-stroke = tratto lungo
verticale) e la fine (up-stroke =
tratto corto verticale) dei segnali (prodotti, ricordo, dalla leva del sounder), col risultato, per così dire, di una certa
“spillosità”, che ricorda le “formanti” dell’analisi armonica dei segnali (su
questo argomento, molto specialistico, vedi il prezioso lavoro in Morsum
Magnificat n. 71, 2000 di E. G. Walsh, il compianto fisiologo edimburghese appassionato della telegrafia e
della sua storia).
Come mi ha
fatto notare anche Urbano Cavina, nel Morse
americano ci sono più punti e meno linee che nel Morse internazionale: basta pensare alla presenza dei sei
caratteri spaziati ( C O R Y Z & ) formati di soli punti, o per meglio dire
di punti e spazi. Questo in pratica permette una maggiore velocità di lavoro, ma ci porta
anche a considerazioni teoriche di non poco conto. Si può dire infatti che nel
Morse americano non solo il rapporto segnale/pausa è minore che nel Morse
internazionale, ma che addirittura in esso i segnali, per così dire, “spariscono” lasciando solo i due punti di repere di inizio e fine,
rappresentati nel diagramma rispettivamente da stanghette lunghe e corte. Con
le parole di Sir W. H. Preece, direttore del Post Office di Londra ai tempi di Marconi (e suo
sostenitore), i segnali nel Morse americano sono costituiti da “intervalli più o meno lunghi di silenzio”
(vedi Telegraphy,
p. 54).
Sono certo che
queste considerazioni sconcerteranno più di un lettore, esattamente come a suo
tempo sconcertarono me. Tuttavia è fuor di dubbio che il Morse americano, anche
se la sua “voce del silenzio” sembra
fatta di “nulla”, deve poggiare –
come del resto anche il suo omologo internazionale e, in generale, tutte le
lingue – su basi concrete, tangibili. Azzardo che qualche luce su questo
problema potrà venire dalle sensazioni percettive di cui ci ha generosamente
fatto partecipi Vittorio Crapella a proposito,
in particolare, della vocale o americana, da lui introspettivamente percepita quasi speculare della o internazionale, in cui i
due “silenzi” si ritrovano ribaltati
nei due “spazi” che separano le canoniche
tre linee ▬ ▬ ▬ (v. News 30).
Come si vede
sono problemi delicatissimi, fenomeni soggettivi che hanno la loro sede nel
nostro cervello, e che tuttavia – come ci ha insegnato Buccola
– sono accessibili allo studio scientifico e alla misura oggettiva. In verità
studi in questo senso non mancano, anche se non si trovano certo nei trattati
di telegrafia (né tanto meno di storia della telegrafia), ma in lavori specialistici
di psicologia sperimentale: Buccola, Bryan e Harter, Koch, Perera e soprattutto Keller, che alla Columbia University ha compiuto memorabili ricerche sul
pianerottolo (plateau) “fantasma” delle curve di apprendimento
di abilità (skill).
Per ciò che
attiene le mie ricerche – isolate e senza finanziamenti, e forse addirittura
osteggiate – è bene che la comunità scientifica italiana sappia che esse
poggiano sul presupposto che il codice Morse per così dire “non esiste”, è un
fantasma. Al suo posto bisogna mettere i 26 fonemi Morse corrispondenti alle 26 lettere dell’alfabeto, riservando al punto e alla
linea la sola funzione dei “tratti
distintivi” ben noti ai fonetisti.
Intervento di Cavina (30.5.04)
Sicuramente nello specchietto "Morse
modificato" del Saso c'è qualcosa che mi sfugge. Da come lo interpreto io,
il Morse americano dovrebbe essere rappresentato così:
Nota che, a conferma della sua maggior
rapidità, vi è un risparmio di ben sei punti (units). Inoltre è la prima volta che vedo un simile stacco (7
punti) fra parola e parola. Stacco che, fra l'altro, era già stato allungato
dal Manisco e Poggi/Cavallari (gli unici che conosco) rispetto ai canonici 5
punti del Morse Internazionale rimarcati anche dal Ferrini (Telegrafia
pag. 148, Hoepli 1890).
Vorrei farti notare che, invece di spazio,
nel Morse internazionale la parola stacco sarebbe più consona. Infatti,
venendo meno le spaced letters, la "spazio" perde la sua funzione più
importante, quella di caratterizzare, definire, propriamente alcune lettere
(CORYZ). Ora, non vi sono più rischi sulla interpretazione propria delle
lettere. L'importanza dello spazio assume solo una funzione di stacco
fra segni, lettere e parole che, in particolare nelle comunicazioni
in chiaro, non ha poi eccessivo peso.
Intervento di Gaeta (3.6.04)
Solo oggi, caro Urbano, col supplemento di chiarimenti che mi
hai fornito, ho capito la tua modifica al diagramma del Saso. Conoscendo il
Morse americano hai fatto ulteriore “piazza pulita” in seno al segnale e hai
cancellato molte stanghette nel corpo delle due L di ALL, e così facendo vieni a dare ancora più
forza alle mie considerazioni teoriche.
Le tue osservazioni sono giustissime, e te ne ringrazio, ma
tieni presente che in questa News io, dopo aver accennato alle spaced letters, ho messo a confronto
solo la vocale o americana e internazionale, senza curarmi delle altre 25
lettere dell’alfabeto (long dash, extra
long dash, ecc.) che avrebbero fuorviato ancora di più i lettori
ideali di queste News – che non sono super-telegrafisti come te,
Urbano!
Apprezzo le considerazioni sugli “stacchi”. Si tratta di
concetti chiave, da approfondire, a cominciare dal cenno che ne faccio nella Morse News N. 32.