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– Prosodemi, tensività e tensione
Riproduco il lavoro incompiuto di Mario Lucidi apparso in Ricerche linguistiche, V, 1962, a ruota del necrologio scritto da Antonino
Pagliaro (vedi Lucidi News 46). È stata la lettura di
questo geniale saggio a spingermi, oltre venti anni fa, alle ricerche fonetiche
e su Lucidi.
In attesa di trovare un nome specifico, a proposito della
sillaba accentata, per la sua vocale, per le consonanti che la precedono e per
quelle che la seguono, diremo rispettivamente "vocale, preconsonanti e
postconsonanti". Tutte le vocali o sono “intense” o “estense”. La
tensività consiste probabilmente in una diversa distribuzione dell'energia articolatoria e cioè la vocale può essere o
leggermente più lunga e quindi di articolazione meno energica (estensa) o di
articolazione più energica e breve (intensa). Un riflesso dell'articolazione, rispettivamente meno e più energica,
si risente anche nelle preconsonanti e, sia pure leggermente, nelle sillabe
precedenti a quelle accentate. Per avere un'idea
della differenza provocata dalla sola tensività in un iposema in cui rimangano
costanti gli altri prosodemi, basta parlare ad alta voce con se stessi
domandandosi e rispondendosi rispettivamente:
Che turno fai? Di
notte
Che turno hai? Di
notte
La parola notte
presenterà nei due casi identici tutti gli altri prosodemi meno la tensività. Nel
primo caso si avrà in notte o estensa. Nel secondo caso si avrà o intensa. L'esperimento
rimane anche più efficace, se si esegue bisbigliando la frase con la minima
energia possibile. Si avvertirà allora l'estensa
come qualcosa di assolutamente non resistente e piuttosto prolungato e, in
contrasto, l'intensa come un'entità puntiforme frenata. La tensività è il
prosodema fondamentale che garantisce la relazione lineare nel sema. Un iposema
può essere sottratto alla tensività solo pronunciandolo isolato e senza
pensarlo o facente parte di una frase o equivalente ad essa. Il tipo di
espressione in cui la tensività è l'unico
prosodema è la numerazione cardinale fatta partendo da zero, appunto perché
siamo in un campo relazionale puro, dove non intervengono ancora nessi logici e
si ha soltanto la relazione lineare della numerazione. Lo zero e tutti i pari
sono intensi, i dispari estensi (asserzione). Formulando la sequenza ordinale zeresimo, primo, ecc. zeresimo è estenso, primo è intenso e così via (constatazione). Nel formulare le due
serie bisogna evitare di pronunciarle come se si ripetessero a memoria, perché
altrimenti si ha un risultato opposto a quello prospettato qui, e ciò in virtù
della norma
seguente che vale per qualunque grado di lingua: quando si riferisce il pensiero altrui, si
notifica ciò invertendo la tensività di tutti i prosodemi.
Le relazioni di tensività sono elemento determinante nell'individuazione sia morfologica sia lessicale. Dal
punto di vista lessicale possiamo osservare, ad esempio, il verso dantesco Tale scendeva l'eternale
ardore dove rispettivamente abbiamo:
scendeva estenso
eternale intenso
ardore estenso.
Se noi sostituiamo scendeva
con cadeva le altre tensività si
invertono e ciò non dipende dalla contingenza del sema, ma si ripete
puntualmente in qualunque frase, a parità di altre condizioni, si faccia una
sostituzione analoga. Esempio:
1)
Quando cadrà la notte, potrete partire.
2)
Quando scenderà la notte, potrete partire
Le due sequenze presentano alternativamente una intensa ed
una estensa, ma mentre nella prima l'iposema
iniziale (quando) è intenso, nella
seconda esso è estenso. Manifestamente la differenza è legata ai due verbi
“scendere” e “cadere” e consiste appunto in essa l'elemento
formale che corrisponde alla differenza di categoria semantica che li
contraddistingue; piuttosto eventiva per il primo e, in certo modo, predicativa
per il secondo.
A proposito di differenze morfologiche possiamo citare
singolare e plurale. Anche in questo caso due frasi assolutamente identiche,
salvo che sotto questo aspetto, presentano tensività diverse:
1) Per la clemenza della stagione i termosifoni
rimarranno spenti.
2) Per la clemenza della stagione il termosifone
rimarrà spento.
Il plurale termosifoni
si presenta estenso e, corrispondentemente con esso sono estensi clemenza e spenti, intensi gli altri iposemi. Il singolare termosifone è, invece, intenso e si
hanno in corrispondenza tutte le altre inversioni. Naturalmente le due frasi
vanno pronunciate con tono assolutamente chiaro e pacato perché altrimenti,
trattandosi di espressioni molto comuni, sarebbe facile cadere nello stile
conversazionale, nel quale interverrebbero inevitabilmente altri coefficienti
di cui ci occuperemo appresso i quali potrebbero turbare la catena delle
tensività. Ho usato il termine catena appunto perché, a parte l'intervento di altri elementi, l'andamento lineare del sema nella lingua non assunta
a semplice espressione relazionale è caratterizzato dal regolare alternarsi di
intense e di estense.
Già dagli elementi portati risulta chiaro che la tensività
come fattore morfologico e lessicale non è un elemento statico che competa all'iposema di per sé, ma un elemento che acquista il
suo valore in quanto risultante di particolari combinazioni. Così prendiamo in
considerazione i due verbi apparire e
spuntare. Essi si trovano di nuovo
nella relazione di tensività che abbiamo rilevato in cadere e scendere come
risulta dalle due frasi che immagineremo dette in senso constatativo:
1) Appare il sole
2) Spunta il sole.
(per
motivi tecnici in questa redazione mancano i segni diacritici adottati nel
testo)
Ora esamineremo le due frasi:
1)
Quando apparve la stella che
attendevano, caddero in ginocchio.
2) Quando spuntarono le stelle che attendevano, caddero in ginocchio.
Se le pronunciamo dando l'accento
principale di frase (apice di tensione; per cui vedi poi) ai due verbi, essi si
presentano entrambi estensi, appunto perché si aggiungono l'una all'altra
la differenza semantica e la differenza morfologica di cui abbiamo già parlato.
È anche interessante osservare che, contrariamente a quanto osservato prima, stella e stelle, benchè differiscano di numero, hanno la stessa tensività.
Ciò dipende dal fatto che ci troviamo nella lingua narrativa, dove, come
vedremo, la regola citata del rapporto tra morfologia e tensività può valere
soltanto per la parola che ha l'apice
di tensione, che dà la chiave, mentre per le altre parole le regole diventano
diverse e, cioè, se si ha la stessa tensività intervengono però altri elementi,
come vedremo appresso. Se noi leggiamo le due frasi ponendo l'apice di tensione su stella e stelle, abbiamo,
rispettivamente stella e stella: ci ritroviamo nella solita
regola.
Dante, e così i trecentisti prima del Boccaccio
(a parte s'intende i casi in cui
anche noi usiamo ancora gli articoli lo
e li) usano gli articoli lo e li per le estense, il
e i
per le intense e basta fare un pochino l'orecchio
alle due categorie per acquistare un singolare gusto a questa duplicità d'uso, della quale per altro rimangono tracce in
frasi stereotipe e antiquate, ad esempio nelle date: li dieci d'ottobre.
Quando il nome è preceduto da preposizione la situazione è
più complessa e non ho avuto occasione di studiarla; posso tuttavia dire che
con la preposizione per l'uso di lo
per l'estensa è normale e ne abbiamo
tracce ancora nelle espressioni per lo più, per lo meno. Si pensi
al leopardiano per li campi esulta. L'infinito
sostantivato
normalmente è estenso; è questa la ragione per cui negli scrittori come il Boccaccio,
in cui ormai è caduto l'articolo lo, troviamo ancora ad esempio lo dormire. Si capisce che la presenza
di due articoli per l'intensa e per
l'estensa, limitata com'è al solo maschile, è dovuta a fatti fonetici,
provocata dalla differenza di tensività nelle vocali relative; e se si ricorda
che già in Plauto ille in
certi casi che non si è ancora riusciti a precisare si presentava sincopato è
difficile resistere alla tentazione (in illa la cosa non avveniva) di pensare che si tratti di
fenomeni analoghi e sarà certo il caso di studiarli perché la differenza di
tensività doveva ben aversi pure in latino, anche se diversamente realizzata
data la presenza della quantità. Essa vive in francese, dove la differenza tra
singolare e plurale in una parola come livre è data non solo e forse (anzi nello stile
conversazionale certo) non principalmente dagli articoli, pronunciati con
rapidità, ma da una differenza nettamente avvertita nella vocale tonica del
nome, la quale differenza non può non essere in rapporto con quanto abbiamo
detto su singolare e plurale. Il fenomeno latino presenta un'altra analogia con quello italiano, cioè la
scomparsa (almeno in poesia dove è controllabile) nell'epoca
che segue le origini della vera letteratura. In un caso e nell'altro si può forse pensare all'influenza della lingua scritta, nel senso cioè che,
dipendendo la scelta delle due forme di articolo dalla sola tensività ed
essendo questa esposta a mutare non appena dal parlare vivo si passa al riferire e
alla
riflessione, non è più possibile mantenere netta la distinzione, la quale
viene attribuita e generalizzata solo nei rispetti della causa formale più
facilmente rilevabile (il padre, lo zaino).
In ogni modo questo è un fatto che va studiato da un punto
di vista più vasto, investendo esso anche, ad esempio, la legge di Mussafia
Tobler. Può non esservi estranea l'uscita
del toscano dai ristretti limiti regionali.
Anche uno invece di un si trova spesso prima di un'estensa
e questo specie nel Novellino. Non porto qui esempi danteschi di lo e il solo
perché è troppo facile averli a disposizione, qualunque pagina si apra della
Divina Commedia. Si pensi solo a
Tu sei lo mio maestro e il mio
autore,
Tu sei solo colui da cui io tolsi
Lo bello stile che m'ha fatto onore.
Per rendersi conto qui, come in tutti gli esempi che
porterò, della prosodia bisogna naturalmente abituarsi non a leggere ma a
recitare; e recitare nel vero senso della parola, cioè non riferendo
semplicemente a memoria, ma dicendo con la convinzione sentita di aver capito
fino in fondo. Naturalmente la presenza dei vari articoli maschili diviene, fra
altri che troveremo più avanti, un elemento essenziale per l'ermeneutica. Così ad esempio all'inizio dell’VIII canto del Purgatorio la famosa descrizione Era già l'ora
ecc. si rivela interpretata falsamente nel modo come abitualmente la si
intende, per la presenza dell'articolo
lo davanti a dì e il davanti a core. Se che
fosse soggetto di volge il desio e intenerisce il core e lo dì
fosse un complemento temporale, dì sarebbe intenso e dovrebbe quindi
avere l'articolo il, mentre core
e desio, o per lo meno uno di essi, come estenso dovrebbe mostrare
l’articolo lo. In realtà il soggetto grammaticale è lo dì (ch’han
detto ai dolci amici addio), e che rappresenta un relativo
temporale, nella quale (per la terzina successiva vedi avanti).
Se consideriamo le frasi (siamo qui in una fase iniziale, in
cui mi limito a far rilevare i singoli prosodemi scegliendo gli esempi con l'unico criterio di una più facile rilevabilità
esimendomi quindi sia da una formulazione prosodicamente più adeguata, sia dall'avvertire quali altri fattori accompagnano il
prosodema considerato) I lupi sono
feroci e I cani sono
animali, pronunciate nel consueto tono di una asserzione, per così
dire accademica, notiamo in cani e lupi una specie di apice dal quale si
torna a discendere nel predicato. Ora, consiste in questo alzarsi e poi tornare
a discendere il prosodema essenziale che caratterizza ciò che noi chiamiamo una
proposizione. Ad esso daremo il nome di “tensione” o “tenuta di timbro” e
avremo precisamente “timbro sostenuto” nel caso di cani e lupi, “timbro
rilassato” per quanto riguarda i predicati.
La differenza acustica che ci colpisce, tra timbro sostenuto
e timbro
rilassato, è senza dubbio legata ad una certa differenza tonale: più
alto o “ascendente” il primo, più basso o “discendente” il secondo; e questo
noi sentiamo tanto più vivamente quanto più pronunciamo la frase in stile
conversazionale. Però non si tratta di una differenza di tono riducibile in
termini semplici, come a proposito di due note qualunque emesse con corde
diverse. Per questo non abbiamo parlato di tono ma di timbro, ed infatti se
consideriamo una frase scelta opportunamente nella quale cioè l'omoteleuto del soggetto e del predicato ci permette
di cogliere la differenza tra timbro sostenuto e timbro rilassato, come ad
esempio L'amore
è traditore (naturalmente la frase va letta di per sé, e non come facente
corpo del periodo in cui l'abbiamo
posta, altrimenti le tensioni si invertono) avvertiamo la già segnalata
differenza tonale, ma essa è ben poca cosa a confronto di quella che otterremmo
trasformando la frase nell'altra: Traditore è l'amore.
Qui la o di traditore si sente di livello nettamente più alto di quello di amore. Questo dipende da ragioni che vedremo
più avanti. L'abbiamo osservato qui
per mostrare come la differenza di tono non sia specifica della tensione, ma
anzi appaia in quest'ultima
assolutamente secondaria se confrontata con il suo estrinsecarsi in altri
prosodemi (legati peraltro sempre alla tensione).
E se ora torniamo alla frase L'amore è traditore ci è
facile avvertire che la caratteristica essenziale tra la differenza dei due o è una certa sostenutezza della prima o
meglio di tutto il primo iposema e un certo corrispondente rilassarsi nella
seconda parte della proposizione, quasi che l'articolarsi
della frase consistesse in una tensione che va crescendo fino ad un massimo
nella prima parte della proposizione per poi tornare allo stadio normale, e la
differenza di tono ci sembra quasi un fatto concomitante con questo stato di
cose: per questo si è preferito parlare di “tenuta di timbro”.
Del resto qui è necessaria un'osservazione
di indole generale. In questa prima esplorazione di un campo ancora nuovo io ho
dovuto di necessità procedere ad orecchio perché essendo le variabili tanto
numerose e accompagnandosi costantemente a quelle essenziali tutte quelle
particolari, dovute a singoli fatti di realizzazione, qualunque analisi
strumentale, nella sua fedeltà meccanica e indiscriminante, avrebbe dato
risultati non valutabili. Sicché è stato anzitutto necessario isolare le
singole variabili in modo intuitivo, con la conseguenza di una certa
inevitabile imprecisione e soggettività nel valutarne l'effettiva
consistenza fisiofisica. Ora bisognerà incominciare a sottoporre i risultati ad
analisi strumentale, sia per avere idee chiare sulla consistenza dei singoli
prosodemi, sia per sgomberare il terreno da errori che prevedibilmente mi sarà
stato impossibile evitare. La cosa è divenuta ormai possibile perché le nozioni
acquisite permettono di orientare l'analisi
strumentale isolando i singoli fatti. Va peraltro avvertito più in generale che
presumibilmente i concetti di cui dispone presentemente l'acustica
non permetteranno di far luce completa sulle varie questioni perché nei
rispetti delle due manifestazioni fondamentali del fenomeno acustico, musica e
lingua, non si è finora seguita l'unica
via per la quale sarebbe stato legittimo indagare su di esse, considerandole
cioè, per quel che esse sono effettivamente, vale a dire manifestazioni
energetiche in sé conchiuse. Ci si è limitati a esaminare singoli elementi
staticamente considerati (una parola, un fonema, una nota, un intervallo). Di
conseguenza l'acustica è rimasta
ancorata allo stadio iniziale di acustica statica il che è presumibile porterà,
quando si studieranno i fenomeni sonori nel loro effettivo realizzarsi
conchiuso agli stessi inconvenienti a cui andremmo incontro studiando fatti
elettrodinamici con criteri elettrostatici. È quindi evidente che si impone l'instaurazione di un'acustica
dinamica nella quale, penso, ciò che abbiamo chiamata “tenuta di timbro” sarà
paragonabile a quello che si chiama altrove “livello” o “potenziale”. Non va
dimenticato infatti che il tono ha senza meno qualcosa di comune con ciò che
noi potremmo intendere con “livello”, ma il fatto stesso che nelle relazioni
tonali ciò che conta è il rapporto ci dice come solo dinamicamente si potrà
chiarire l'argomento. Va infine
aggiunto che fisiologicamente il realizzarsi dei singoli prosodemi andrà
studiato di lingua in lingua, perché è da presumere che le relazioni
energetiche siano costanti, costituendo il meccanismo stesso del linguaggio, ma
è certo indubbio che il loro realizzarsi è storicamente individuato nel tempo e
nello spazio.
Tornando alla tenuta di timbro essa è, come dicemmo, l'elemento essenziale che caratterizza il rapporto
soggetto-predicato. Come vedremo, quando la frase comporta più elementi si ha
un continuo alternarsi di tensione, ma su ciò torneremo dopo aver trattato le
vergenze. Per ora siamo in grado di sentire chiaramente le differenze di
tensione in frasi bimembri, ad esempio I
fiori sbocciano, Socrate è un uomo.
Ora chiameremo “sintesi” l'insieme
di soggetto e predicato e precisamente “antitesi” la parte sostenuta, cioè il
soggetto, e “tesi” il predicato.
Consideriamo le due frasi:
1) Le notti sono burrascose
2) Gli usignoli non cantano
Abbiamo evidentemente due sintesi, con le caratteristiche
già segnalate. Creiamo ora il periodo: Se
le notti sono burrascose gli usignoli non cantano (è opportuno avvertire
che, in questo stadio delle indagini, fermiamo necessariamente la nostra attenzione
solo sulle parole che tradizionalmente si considerano toniche: nomi pronomi
principali, verbi, aggettivi, avverbi e simili, mentre trascuriamo tutto ciò
che è atono: copula, negazioni, articoli, preposizioni, congiunzioni - almeno
nella gran parte - particelle pronominali ecc. A questi limiti peraltro ci si
può normalmente attenere quasi sempre quando si è in uno stadio di lingua non
abbastanza avanzato, mentre in uno stadio di lingua in fase di sema logico e,
più in generale, quando si vuol procedere ad un'analisi
veramente profonda degli elementi più reconditi degli elementi più reconditi, è
necessario prendere in considerazione tutti gli ingredienti, persino quelli che
riguardano la formazione delle parole. Dando l'accento
principale ad usignuoli sentiamo che
la seconda proposizione mantiene intatto il suo carattere, con antitesi
sostenuta e tesi rilassata. Nella prima invece avviene il contrario: l'antitesi viene rilassata e la tesi sostenuta perché
ci troviamo in uno proposizione dipendente, cioè l'ipotesi;
è questa, appunto, la caratteristica delle proposizioni dipendenti (o più
esattamente di certe proposizioni dipendenti, come vedremo in seguito). La cosa
si può osservare, ad esempio, nel sema seguente: I due triangoli rettangoli sono uguali perché l'ipotenusa
e i due cateti sono uguali.
Va avvertito che, contrariamente a quanto ci potrebbe far
supporre quanto abbiamo visto sin qui, il tradizionale concetto di soggetto
(anche nella sua formulazione più ragionevole, cioè quella formale di elemento
concordante con il verbo) non coincide con quello di “antitesi”, perché la
“sintesi” non è l'unico tipo di sema
che possa realizzarsi. Consideriamo le due frasi:
1) Il sole spunta;
2) Spunta il sole
(le quali, come sempre in questo primo stadio, vanno lette
nel tono più possibilmente pacato, perché altrimenti, per ragioni che vedremo
in seguito, nonostante l'ordine
diverso delle parole, potrebbero, con opportune livellazioni tonali essere
scambiate l'una con l'altra).
Nella prima frase abbiamo il solito andamento. Anche nella
seconda il verbo discende e il nome sale, ma non si tratta di una costruzione
inversa la quale, come vedremo, è sempre caratterizzata da livelli tonali
diversi (per rendersene conto, per ora, si pensi, ad esempio, ad una frase
prosodicamente abbastanza univoca come La
Spagna confina con la Francia e con il Portogallo. Se noi facciamo precedere
il verbo da con la Francia, abbiamo La Spagna con la Francia confina e con il
Portogallo, e sentiamo che il livello di Francia è nettamente più alto di quello delle restanti parole). Si
tratta bensì di una diversa proposizione iniziante con il verbo, cioè una
“analisi”.
Chiameremo dunque “analisi” un sema nel quale si inizia con
tenuta rilassata e si termina con tenuta sostenuta. Un esempio di analisi
potrebbe essere una delle constatazioni comuni alla geometria come: Esistono punti.
Va ripetuto che, quanto abbiamo detto fin qui va considerato
solo come un'esposizione
preliminare, destinata a familiarizzarci con la tensione la quale, normalmente,
nella gran parte delle frasi considerate, si accompagna ad altri elementi che
noi abbiamo a bella posta trascurati. Riassumendo possiamo dire che la
“tensività” garantisce il succedersi lineare degli iposemi, mentre la
“tensione” è l'elemento basilare per
cui una proposizione non è una semplice sequenza, ma qualcosa di conchiuso, ciò
appunto che si suol chiamare o “sintesi” o “analisi”. Anche se ancora
provvisorie già abbiamo delle definizioni formali di sintesi e analisi.
La sintesi è caratterizzata dal succedersi
sostenuto-rilassato, l'analisi dalla
sequenza contraria. Due esempi possiamo avere ancora nelle due frasi:
1) Dio esiste
2) Esiste Dio
dove bisogna badare bene a non leggere il primo esiste molto alto e forte, con il tono
di chi volesse dire al suo interlocutore: Per
quanto riguarda Dio, il fatto che esiste non va discusso, perché in questo
caso ci troviamo veramente in una costruzione inversa, cioè in un'analisi invertita (con in più un'inversione di vergenza). Analogamente se
pronunciamo: Esiste Dio, dando una
particolare energia ad esiste, ciò non significa altro che affermare Dio
esiste, dando all'affermazione una
particolare intensità, cioè ci troviamo ad una sintesi invertita.
È chiaro infine che se nel parlare di sintesi e di analisi
abbiamo accennato al valore che a queste parole si dà in altra sede, ciò non
implica la pretesa di riferirci, nel dare le nostre definizioni, anche a quel
valore. Dei rapporti indubbiamente si hanno, ma qui a noi interessa soltanto la
definizione formale e il riferimento va considerato assolutamente non
impegnativo.
Come pura ipotesi posso aggiungere che, probabilmente, la sostenutezza
del timbro consiste articolatoriamente in questo: durante l'articolazione della vocale del sema sostenuto, il
punto articolatorio caratteristico della vocale medesima tende leggermente a
chiusura, dando appunto quella impressione di sostenuto e di sospeso che ci ha
ispirato il nome, mentre il contrario avviene nel timbro rilassato. Questo ci
dà anche una spiegazione per così dire psicologica di quello che abbiamo
chiamato rispettivamente “sintesi” e “analisi”. Nella sintesi viene posta in
posizione, per così dire, di sospensione, l'antitesi,
come quella della quale si vuol fare intendere che si sta per predicare
qualcosa (Dio esiste). Nell'analisi viceversa, dove s'inizia
col predicare, cioè quasi non si aggiungesse nulla e ci si abbandonasse ad una
constatazione risaputa, si incomincia con un timbro rilassato aggiungendo poi
il timbro sostenuto quasi ad avvertire a che cosa si riferisce la nostra
constatazione (Esistono punti). Sarà
bene abituarsi fin d'ora ad
accompagnare con la mano l'andamento
prosodico della frase; questo dell'accompagnamento
con la mano è un sistema che può riuscire molto utile; del che ci si rende
conto se si pensa che non si tratta di un procedimento arbitrario, sibbene di
un moto spontaneo quasi sempre presente, senza che noi ce ne rendiamo conto,
quando ci esprimiamo, specialmente se con una certa vivacità. Chè in ultima
analisi il gestire non è altro che questo: un accompagnare con la mano l'andamento prosodico di ciò che si esprime. Per
essere più precisi potremo dividere il gestire in due grandi categorie
fondamentali: quella, per così dire, “ontologica” e quella “prosodica”.
Ontologica potremo chiamare quella in cui alludiamo al
significato della parola, o delle parole, che stiamo pronunciando; una specie
di onomatopea visiva, quando ad esempio diciamo: L'ho intorcinato bene bene e
l'ho messo in un angolo e
intanto facciamo un rapido movimento di avvolgere. Oppure diciamo: Devi fare bene attenzione a questo, e
puntiamo l'indice, ad esempio, sul
palmo della mano. Naturalmente un simile gestire è proprio della lingua
concreta della comunicazione o di quella immaginosa e della sensazione; infatti
esso si accompagna spesso a parole acusticamente onomatopeiche e di quella
onomatopea atta ad eccitare sensazioni particolari, come quando diciamo: Ho inteso uno schianto e intanto con le mani
facciamo un movimento particolare o si pensi anche al movimento che accompagna
normalmente un paff! e
simili.
L'altro gestire, quello
“prosodico”, accompagna e mette in rilievo gli andamenti ritmici, realizzandosi
soprattutto in gesti multiformi e in certo modo morbidi e con le dita leggermente
ripiegate e lasciate abbastanza sciolte l'una
dall'altra per le modulazioni
prevalentemente melodiche, mentre per le cuspidi a prevalenza intensiva noi
usiamo gesti
secchi con la mano abbastanza rigida. Ora l'andamento
della tensione, legata com'è al tono, trova la sua normale espressione in
movimenti, verso l'alto o verso il
basso, della mano: bisogna naturalmente familiarizzarsi con la procedura,
cercando soprattutto di sintonizzare i movimenti proprio con l'andamento della tensione, evitando l'eventualità, molto facile, di fare gesti abbastanza
violenti, i quali in tal caso si troverebbero ad accompagnare la
vergenza (il prosodema di cui parleremo tra poco, al quale si riferiscono
soprattutto i movimenti della testa con i quali ci possiamo accompagnare,
specie in un parlare energico): per questo se si vuol mettere in rilievo la
tenuta bisogna farlo per ora in frasi molto semplici e di stile possibilmente
assertivo, in un campo di esposizione di nozioni espresse pacatamente, evitando
sia l'enfasi didattica, sia la
suasione conversazionale caratterizzata da ondulazioni di tono.
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