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- Il linguista analfabeta
Per riuscire a leggere Mario
Lucidi doveva chinarsi sul foglio e usare una lente d’ingrandimento molto
potente. Dopo varie operazioni che gli avevano massacrato gli occhi il suo
campo visivo, di un solo occhio, era ridotto ad una fessura che gli permetteva a malapena di leggere, anzi
semplicemente “vedere”, una o due
lettere per volta. Vederlo leggere, mi hanno raccontato,
era una cosa penosa.
Anche scrivere gli era pressoché impossibile. Non ho visto
nessun manoscritto di Mario, ma ho visto una dedica autografa (al professor Isopescu) del fratello Raul Lucidi, affetto anche lui da gravi
disturbi visivi (anche se inferiori a quelli di Mario): una scrittura tremula,
insicura, come quella degli illetterati o imbecilli.
Eppure Mario Lucidi si fece un’enorme cultura ed ottenne
perfino una cattedra nientedimeno che di glottologia! Come ci sia riuscito
rimane un mistero della natura, è invece un “fatto” scientifico, anche se
paradossale, che egli può considerarsi un “linguista analfabeta”.
Il fatto di non “sapere” leggere, proprio perché non
“poteva” leggere, gli ha permesso, io credo, di prestare la sua attenzione al
solo versante orale della lingua e di scoprire quei basilari fenomeni di tensività (vedi AG 14) che dai comuni mortali, linguisti
ovviamente compresi, non sono percepiti.
Si tratta con tutta evidenza di fenomeni di timing, analoghi alle temporizzazioni
del Morse, che non hanno corrispettivo nello spacing della fissatura grafica (vedi AG 15, penultimo paragrafo).
Un altro esempio, anche se non perfettamente calzante, può
aiutare a chiarire il fenomeno o almeno il concetto suesposto: