46 – Ricordo di Mario Lucidi

 

 

Riporto il necrologio di Lucidi pubblicato da Antonino Pagliaro (foto) in Ricerche linguistiche, V, 1962.

 

Mario Lucidi appartenne a quella categoria di studiosi la cui vocazione per la ricerca, quasi come abito costituzionale, si manifesta in tutti i rapporti conoscitivi, e per i quali la necessaria specializzazione non costituisce una effettiva limitazione di interessi. Nessun problema gli rimaneva estraneo; e quando un tema, fosse di ordine storico, o filosofico o matematico (per le matematiche fu particolarmente dotato), oppure sociale (ebbe viva sensibilità etica e civile) entrava nel raggio della sua attenzione, Egli lo investiva con la forza della sua tenace e raccolta meditazione, sino a che non si sentisse pacificato da una soluzione. Come suole accadere per tale categoria di ingegni, la ricerca era per lui un fatto del tutto personale, privato, e il risultato, una volta conseguito, entrava nell’ambito delle cose note, tanto da non meritare di essere comunicato.

In questo atteggiamento risiede la causa principale del fatto che ben poco della sua diuturna applicazione in campo glottologico è giunto alla pubblicazione; a ciò certo contribuirono, oltre ai non lievi impegni accademici, le condizioni della sua vista, che gli resero sempre disagevole la consultazione bibliografica.

L’incontro di Mario Lucidi con i problemi del linguaggio avvenne precocemente, forse nel corso degli studi secondari, ai quali Egli attese da autodidatta. Quando nel 1932 si presentò per l’esame di maturità dinanzi a una commissione da me presieduta, Egli rivelò nel colloquio, fra le altre rare qualità, un singolare interesse per l’analisi linguistica; e sembrò che un mondo nuovo gli si scoprisse, quando, con la prontezza propria della sua intelligenza, si rese conto che tale analisi aveva un suo metodo per qualche aspetto non lontano dal procedere matematico.

Iscrittosi alla facoltà di Lettere, seguì con impegno e successo i corsi di filologia e di linguistica in modo da formarsi una solida preparazione nel campo arioeuropeo. Conseguì la laurea con dichiarazione di lode nel 1936, presentando una dissertazione su un arduo testo in iranico medievale.

Da allora la giornata di Mario Lucidi si svolse costantemente nella cerchia universitaria, da assistente volontario prima, poi da straordinario e infine ordinario alla cattedra di Glottologia. Sorretto da memoria eccezionale e da non comuni capacità logiche acquistò presto larga informazione e sicurezza di giudizio. Animo comprensivo e dotato di vivo senso di r responsabilità, assolse i compiti della sua carica con zelo e con amore: come guida avveduta e sicura facilitò di anno in anno a centinaia di giovani l’accostamento ad una disciplina nuova e non certo facile. La sua opera fu più che tramite, valido complemento all’insegnamento ufficiale.

Di fronte a qualsiasi enunciato le sue prime reazioni, com’era naturale che fosse per una mente che aveva costruito con impegno e fatica un proprio sistema di conoscenze, erano estremamente caute e quasi negative. Ma una volta che il suo raziocinio aveva ripercorso il procedimento logico in cui quell’opinione o tesi si legittimava, Egli, facendola propria, l’arricchiva di nuovi sviluppi, intanto che la rendeva didatticamente funzionale. Ogni teoria, anche la più ardua, diventava nella sua interpretazione perfettamente “comunicabile”. Tali doti resero anche il suo personale insegnamento (aveva conseguito la libera docenza in Glottologia) particolarmente efficace.

Vera tempra di studioso, capace di affrontare i problemi più complessi e di risolverli con rara penetrazione critica, Mario Lucidi visse costantemente l’ansia e la gioia della ricerca. I settori più ardui della linguistica, dalle questioni teoriche sulla natura del segno alle difficili constatazioni sulle componenti extrafunzionali dell’atto linguistico, dall’ermeneutica etrusca alla sistemazione dei fatti di accento, attrassero di volta in volta la sua attenzione. Come si è detto, ben poco delle sue meditazioni e osservazioni poté vedere la luce e presentarsi al vaglio della critica. Ma bastano saggi come quello sull’arbitrarietà del segno (L’equivoco de l’”arbitraire du signe”. L’iposema, in Cultura neolatina, X, 1950, 2-3, p. 185 sgg.), sull’accentuazione greca (L’origine del trisillabismo in greco, in Ricerche linguistiche, I, 1950, p. 69 sgg.), sull’accento in persiano moderno (L’accento nel persiano moderno, in Ricerche linguistiche, II, 1951, p. 108 sgg.), a dare prova delle sue rare prove di linguista, capace di muoversi con autonomia di giudizio nei campi più diversi.

Da molti anni egli attendeva a ricercare i rapporti fra la fonetica articolatoria e quella acustica e a stabilire una normazione dei modi con cui il tono integra la funzionalità del sistema nelle lingue moderne. Da quello che traspariva dai suoi sobri discorsi in proposito, e dal breve saggio incompiuto che qui pubblichiamo (vedi Lucidi News 48), si può intendere quale grave perdita sia stata per i nostri studi la sua immatura scomparsa.

Chi scrive ebbe Mario Lucidi prima allievo e poi accanto a sé nell’insegnamento per cinque lustri. In così lunga consuetudine di lavoro comune ebbe modo di conoscerne a pieno, oltre che le doti dell’ingegno, anche la buona e leale umanità. Perciò al rimpianto per il valente discepolo, che non poté dare tutta la misura del suo valore, si aggiunge quello, non meno vivamente sentito, per l’amico perduto.

Mario Lucidi nacque a Reggio Calabria il 7 novembre 1913 e si spense improvvisamente a Roma il 23 luglio 1961.

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