GA
20 – La dattiloscrittura di Lucidi (4.2.2006)
Nello spirito di quella sana collaborazione scientifica auspicata
in GA 17 avrei
bisogno di notizie sul rapporto che Lucidi
aveva con la macchina da scrivere. Dagli intervistati,
all’epoca, non ho saputo nulla, ma è probabile che la sapesse
(o potesse) in qualche misura usare,
se ha battuto da solo la sua tesi di laurea – nel 1936, sul gioco degli scacchi
iranici (vedi l’incipit qui riportato,
dalla copia conservata alla biblioteca universitaria Alessandrina di Roma,
collocazione Fac. Lett.
Tesi 1936/72).
Come accennato nel cap. 4 de “L’iposema di Lucidi”,
e soprattutto grazie alle preziose osservazioni di Javal nel capitolo “Macchina
da scrivere e fonografo” del suo “Entre aveugles” (vedi riassunto in rete), il cieco può scrivere (e
dattiloscrivere) in modo radicalmente diverso dal vedente, perché, non potendo
rileggere quello che man mano scrive, deve avere in testa la frase interamente
costruita prima di fissarla sulla carta. Si tratta, si badi molto bene, non di
una cosa banale, ma di un concetto estremamente
fecondo circa i rapporti tra pensiero e linguaggio (vedi anche T. De Mauro,
Tra
Thamus e Theuth. Uso
scritto e parlato dei segni linguistici, nota