DA
22 – Il “fiume” Stesicoro (3.5.2013)
A pag. 93 del dottissimo libro di Baldassarre
Romano “Notizie storiche intorno alla città di Termini” (1997, a cura di A. Contino e S. Mantia)
si legge: “Nel 1708 le abbondanti piogge danneggiarono
la condotta di un mulino sito a Termini Bassa vicino alla Barratina. Questo
mulino era alimentato dal sovrappieno dell’acqua della fontana vecchia e
fontana d’incàpo e del vallone della Barratina per
concessione dei Padri Predicatori sin dal 1575. L’acquedotto si immetteva nel
Bastione nominato di S. Francesco di Paola tramite un pertuso
anticamente fatto nella muraglia”.
Dalla fedelissima mappa di Daidone del 1720 (vedi AG 28 e ritaglio a sinistra) riconosciamo il “Molino vecchio” e il “pertuso” (buco) e che la gora o “saitta” era alimentata, circa un
chilometro a monte, solo dal torrente Barratina. Tale corso d’acqua inoltre
entrava in città in un alveo grosso modo corrispondente all’ultimo tratto, da
porta Euracea (“Baddoma”)
al corso Umberto e Margherita, del più moderno (circa 1792) “stradone”
Stesicoro (mappa a destra),
proseguendo per tutto il “Caricatore”
fino a piazza Crispi (“chianu a cruci”) e Porta Messina.
Lungo tutto questo percorso (stimabile in circa un chilometro) e per
almeno tre secoli (1575-1875) è stato
tale “fiume Stesicoro” ad “animare” le decine di opifici idraulici
della nostra operosa e industriosa Termini – trappeti, molini, pastifici e fabbriche varie (come, ad esempio, gli “Stabilimenti Tantillo” descritti da Palmeri,
Jannelli, ecc.) – ubicati ai
piedi delle due colline, quella dei Paolotti (u “Santu Patri”) e quella di S. Lucia, chiarissimamente raffigurate
nella mappa di Daidone, e di cui
ormai rimane traccia solo nella toponomastica (via della mola, via delle macine, ecc.). Aggiungo, come nota di
colore, ciò che si legge nella ricchissima (circa
40 colonne) voce “Termini” del
celebre Dizionario “Topografico” della
Sicilia fondato da Vito Amico: “da tali colline, dove la vita doveva essere
pulsante per la vicinanza dei mulini…, in giocondissima prospettiva si scorge
il mare”.
Lascio gli approfondimenti “storici” a studiosi imeresi (Longo, Bacino, Albanese per citarne alcuni)
più dotti del sottoscritto, ma voglio aggiungere qualche parola sulla “topografia” medievale, quella, per
capirci, anteriore al ciclopico fenomeno sismico che ha “colmato di terra” quasi
tutta Termini bassa, o meglio il mare che c’era al posto dell’attuale Termini
bassa e sulla quale permangono fraintendimenti a non finire, malgrado
i non pochi miei scritti sull’argomento (a
cominciare da “La
città sbancata” (del 2009) e a finire con la ricostruzione
iconografica dell’architetto Toma e la precedente News)
e, soprattutto, l’autorità del Solìto
e del Palmeri.
Nel post del 29 u.s del
gruppo Facebook “Belvedere” l’amico Bacino, ad esempio, si anzi “mi”
domanda: “Se il mare arrivava al cinema
Imera, la chiesa del Carmine, di San Bartolomeo e tutti i caricatori sparsi
nella zona del Supercinema a che età dobbiamo far
risalire la loro costruzione?” Rispondo: il mare, potendosi in epoca
storica considerare praticamente fisso il suo “livello”, non è mai arrivato né al cinema
Imera (ubicato a circa 14 m s.l.m.
nell’“anfiteatro” sotto la collina di S. Lucia), né a via Gisira, né alla chiesa del Carmine, né in qualsiasi attuale
“emergenza” di Termini bassa
inferiore ai 4 ÷ 18 m s.l.m. (secondo i luoghi) per il semplicissimo,
anche se sconcertante, fatto che tutta Termini bassa è nata, si è formata col
bradisismo vulcanico orientativamente collocabile nell’anno 1200 d. C. (si legga, con attenzione, almeno DA 8 – L’alluvione inversa).
Prima, caro Aldo, al suo posto c’era
solo mare!