DA
21 – Il “faro” di Termini (21.4.2013)
Questa vecchia e preziosa foto,
databile fine ‘800 ÷ inizio ‘900,
mostra un grosso palazzo – il
“Torracchio” – che si staglia quasi come un’isola nel golfo di Termini Imerese,
quando, come si vede e come i nostri vecchi ben ricordano, il mare arrivava a
lambire la ferrovia Palermo - Messina.
Oggi, come ai termitani è ben
noto, non solo il Torracchio è mimetizzato da altre costruzioni, ma è sparito
anche il limitrofo mare (in particolare
il cosiddetto “vagniceddu”, dove c’era lo scarico
delle acque calde e dove d’estate sguazzavano i nostri “carusi”),
fagocitato da ettari di spiaggia (la
cosiddetta “marina”) e di cemento (le
vecchie e le nuove faraoniche banchine). Tre secoli fa, invece, come si
vede e come si legge nella mappa del Daidone
(vedi AG 28),
al posto di questa costruzione, incorporato nella cinta esterna (credo cinquecentesca) della città, c’era
il bastione del “Terrasso” e lo
scarico delle terme veniva usato (come
nel castello a mare di Trabia) per azionare dei mulini.
Anche se entrambe le
denominazioni, Terrasso e Torracchio, inducono a pensare alla
funzione ancora più antica di torre di avvistamento o faro, con un poco di
fantasia, o senso dello spazio, da questa foto si può passare al quadro delle
antiche terme di Himera presentato nella scheda precedente. Immaginando un Google Earth ancora più potente con cui
poter ruotare di 90° la prospettiva
facendo perno sul Torracchio si “vedrà” la stessa scena del quadro perché
il Torracchio è diventato il faro romano,
mentre l’ideale linea rossa della foto (che
arriva dalle parti di via Gisira) corrisponde al molo romano. Al
posto del limpido mare del porto romano e del
grandioso edificio circolare delle terme romane vedremo
però una selva di case sulle quali svettano altre due torri della cinta romana:
quella dei Saccari
(o di S. Orsola) e quella
dell’Annunziata (oggi demolita),
oltre ovviamente alla cupola blu della stessa antichissima chiesa.
In genere è il mare che
sommerge la terra, a Himera invece è stata la terra,
per così dire, a “sommergere” il
mare, un grandioso fenomeno geologico non tanto di “aggradazione” topografica (aumento
di livello), ma una sorta di “alluvione
inversa” (vedi AG 39)
su cui spero che almeno il geologo e storico termitano Contino vorrà pubblicamente pronunciarsi.
Il dipinto di Marcello Toma delle antiche terme di Imera
(vedi DA 20) non è solo un’opera artistica, ma anche
(e forse soprattutto) un lavoro
scientifico che si è potuto fare grazie a molte e indispensabili
modellizzazioni di computergrafica (a
destra un esempio) e alle rare e approfondite esperienze di prospettiva,
assonometria, anamorfosi, ecc. maturate dall’architetto Toma prima con gli insuperati lavori su Andrea Pozzo (vedi RE 45)
e poi nell’apprezzatissima produzione pittorica dei suoi “rotomatismi”, o cinematismi di reuleauxiana
memoria (vedi www.artetoma.it).