BE 28 – L’altro falò (31.1.2008)

                   

                                            Liceo Beccaria, Mondovì                                             Protomoteca Campidoglio, Roma

“In curiosa coincidenza con le polemiche sui fatti alla 'Sapienza', ci giunge da Roma l’opuscolo di un appassionato di elettrotecnica su un aspetto dell’opera dell’abate e fisico monregalese del Settecento Giambattista Beccaria (Andrea Gaeta: 'Beccaria vindicato. L’edizione Patuzzi dei suoi Elettricismi'). Pensate: il Beccaria, formatosi a Roma alla scuola degli Scolopi fondati dal Calasanzio ammiratore di Galileo, fu chiamato all’Università di Torino proprio perché portatore del metodo sperimentale che i fisici subalpini lì per lì avversarono, legati com’erano a impostazioni tradizionali e autoritarie. Insomma, un prete scienziato innovatore e galileiano tra fisici ancora aristotelici e tolemaici… E viene naturale, per contrasto, pensare a quanto accaduto alla 'Sapienza' di Roma dove taluni fisici di oggi, opponendosi alla presenza del papa all’inaugurazione dell’anno accademico, hanno creduto di difendere Galileo e l’autonomia della scienza riaccendendo vecchi falò d’intolleranza, equivocando anche su una citazione fatta da Benedetto XVI”.

Inizia con queste parole il lungo articolo di Ernesto Billò “G. B. Beccaria, un abate 'galileiano' fra colleghi 'laici' fermi alla vecchia scienza” apparso ne L’Unione monregalese - n. 3, 23 gennaio 2008, p. 11, ornato dall’austero busto di Beccaria (a sinistra) del liceo di Mondovì. Lo scritto, che mi rammarico di non poter citare nella sua interezza, prende spunto dal mio opuscolo Beccaria vindicato, cosa di cui ringrazio il dotto autore, la cui fama non mi è ignota, ma dopo aver quasi burocraticamente “preso atto” del duplice ruolo dell’abate Patuzzi, autore dell’Elogio anonimo e curatore dell’edizione maceratese, si sofferma a rispolverare – anzi, se mi si consente il neologismo, a “reimpolverare” – la figura del grande monregalese così come ci è consegnata dalla storiografia tradizionale. In particolare, scivolando sulla china di pregiudizi plurisecolari, Billò continua a considerare l’elettricità vindice un “incidente di percorso” del Beccaria, perchè non convinse il “giovane” – ma intendendo “grande”!  Volta.

La realtà storica e scientifica, come ho accennato in Beccaria vindicato, e come sto a poco a poco sviscerando nelle Beccaria News, è però ben diversa. Presumo che il prof. Billò abbia una formazione umanistica, e mi guardo bene dal pretendere da lui quel giudizio sui meriti scientifici di Beccaria – e sui consequenziali “demeriti” di Volta – difficile anche per fisici e storici della fisica. Mi rammarico, però, questo sì, di non avere aperto nessun dibattito e di non essere riuscito a instillargli nemmeno l’ombra del dubbio sulle radicatissime sue convinzioni. E, al contempo, non capisco bene che cosa egli, continuando a parteggiare per Volta, possa “rivendicare” per Beccaria, a nome dei monregalesi e non solo di essi.

L’aggancio all’attualità della Sapienza e il paragone dell’intolleranza dei fisici romani di oggi con quella dei fisici piemontesi di ieri è talmente corretto e suggestivo che, per associazione, ha richiamato alla mia mente un altro falò, stavolta non metaforico, una vera e propria caccia alle streghe di 233 anni fa, a Mondovì forse non del tutto dimenticata o rimossa, ai danni del nostro Beccaria, “il mago della Garzegna”. Mi riferisco alla omonima novella “storica” del celebre e prolifico latinista piemontese Tommaso Vallauri (pubblicata nel 1861 o forse prima), così riassunta dallo stesso autore: “Giambattista Beccaria, celebre fisico, va a villeggiare sul colle della Garzegna presso Mondovì. Quivi facendo i suoi esperimenti intorno all’elettricismo, è creduto dai contadini uno stregone, e corre pericolo di vita”.

Leggendo le pagine di Vallauri si piomba in pieno medioevo. Grandinate e temporali rovinosi per il raccolto venivano imputati dai contadini ignoranti ai sortilegi di Beccaria, che vedevano accompagnarsi agli spiriti maligni, al lume della luna, sul terrazzo della sua “villa rossa” della Garzegna. Coi suoi poteri stegoneschi egli rianimava all’istante, al tocco di una verga, animali squartati, poteva rasserenare a suo talento il cielo, estrarre fuoco dai cervi volanti, comandare agli animali, ecc. Malizia e ignoranza andavano a braccetto. Il frate – il maggior fisico d’Italia, non dimentichiamolo – veniva fuggito come la mala sorte, quando lo si incontrava per strada si facevano gli scongiuri e le madri nascondevano il viso ai loro figli perché non lo vedessero.

I più facinorosi, forse imbeccati o sobillati da qualcuno particolarmente ostile al Beccaria, giunsero a fare una spedizione punitiva alla Garzegna. Gridando “A morte, a morte!” gli esagitati assediarono la casa di Beccaria e, mentre questi riusciva fortunosamente a mettersi in salvo scappando da una porticina secondaria camuffato da contadino, coi loro picconi e le loro vanghe sfasciarono tutto, dando fuoco agli strumenti o “diavolerie” del mago.

Si potrebbe pensare che Vallauri abbia romanzato troppo e che, in ogni caso, si tratti di acqua passata. Io non lo credo, primo perché l’ostilità verso Beccariada parte dei concittadini, dei colleghi d’università e dei confratelli, come ricorda Patuzzi – è documentatissima; secondo, perché mi è sembrato di cogliere qualche reticenza da parte dei monregalesi a cui ho chiesto notizie sul monumento a Beccaria (vedi BE 26). Non c’è alcuna differenza, in altri termini, tra il metaforico falò d’intolleranza dei fisici piemontesi contro Beccaria, ottimamente esposto dal prof. Billò, o quello dei fisici della Sapienza contro il Papa, e il falò vero, storico dei monregalesi verso il loro concittadino, “vindicato” solo a parole.

È toccato a noi fisici romani, semmai, sdoganare e rispolverare “realmenteBeccaria, come si può anche evincere – se mi è consentita la battuta – notando che il suo busto al Campidoglio (a destra, ma vedi anche BE 10) è senza un filo di polvere!

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