BE
18 – Una lettera di Volta (19.1.2008)
I corpi elettrici per natura, o “idioelettrici”, non sono solo quelli “vitrei” cui abbiamo finora accennato (vedi BE 11,
BE 13 e BE 16), ma anche, com’è noto, i “resinosi”, i quali, tra le altre
differenze, sono caratterizzati da una molto maggiore durata della carica
accumulata.
Nel 1775 Volta, utilizzando una “focaccia” resinosa particolarmente
efficace, ottenne durate talmente lunghe (anche
mesi) che lo portarono a definire addirittura “perpetuo” il suo tipo di “elettroforo”
(vedi figura, comprensiva della pelle di
gatto per strofinare una tantum la schiacciata o stiacciata di resina), col
quale riusciva ad ottenere scintille tanto forti da dare la scossa o accendere
il gas.
Sia Volta che una pletora
di scienziati si affannarono in quegli anni a spiegare questo strabiliante
fenomeno senza ricorrere, o accettare la complicata teorica dell’“elettricità vindice” sviluppata da Beccaria alcuni anni prima (1769), e soprattutto, si badi, senza
dare il giusto peso al “lavoro” di “snudamento” del coibente, cioè di
sollevamento o “distacco” dello “scudo” dalla “focaccia”, nonchè a quello della sua successiva “rivestizione”.
Ciò premesso, ecco un’interessante lettera – edita in [Viglione 1784] e non presente, a quanto
mi risulta, nell’epistolario voltiano – che Volta
inviò il 29 febbraio
Ecco, testualmente, la prudentissima risposta di Volta, orientata a considerare il fenomeno
dell’elettroforo, al massimo, in termini di elettricità vindice “positiva”:
“Mi trovo da VS. onorato d’un gentilissimo foglio, favorito
dell’offerta d’una sua produzione, ed invitato ad un letterario carteggio. Non
posso altro che renderle ben distinte grazie per i primi due, ed offerirmele
per il terzo in quella migliore maniera, che i miei scarsi lumi, e le mie
occupazioni analoghe alle sue per la Scuola pubblica di Fisica, onde sono
incaricato, mi concederanno di poter fare. Io aspetto con impazienza di vedere
l’opera che mi promette, per dirlene qualche cosa e di quelle e delle mie idee
sull’elettricità vindice: giacchè prima che le potrei dire? Non so
pronosticare, se in tutto o in parte converremo ne’ principi. Il principio
della lettera di VS. parea condurmi a questa lusinga; ma il fine mi annunzia
quasi, che andiamo a batter lontano. Ella ne vuol ricondurre alle leggi della
vindice stabilite dal P. Beccaria.
Vorrà dunque, che la faccia isolante dismetta effettivamente per l’atto della
scarica tutta l’elettricità sua, e la riprenda poscia a spese dell’armatura
nell’atto e per l’atto di snudarnela. Io ho un nembo d’argomenti e di prove
palpabili, che depongono restar parte della carica affitta tuttavia alla faccia
isolante, e supplirsi questa per altrettanta scarica a spese proprie
dell’armatura nell’atto, che si eccita l’esplosione; in tale stato di
contrappeso, dirò così, di elettricità contrarie, e perciò di adesione durare
la faccia ed armatura, finchè, collo separarle tolto il contrappeso, manifesti
e quella e questa al di fuori la propria sua assoluta elettricità ec.. Ma
questa propriamente è quella, che si è chiamata elettricità vindice positiva.
Ed ella accenna essersi nel suo saggio ristretta alle leggi della vindice
negativa. Andremo dunque almeno d’accordo circa questa? Ho grande paura di nò:
giacchè io dimostrerò essere un nulla questa vindice negativa rispetto allo
strato isolante, ed essere soltanto una porzione di carica od elettricità
appartenente all’armatura, la quale a poco a poco va dissipandosi, come
l’armatura medesima si tiene alzata: non altrimenti che si dissipa
l’elettricità di qualunque conduttore nell’aria. Ma mi sono senza volerlo
lasciato condurre a rilevare sulle idee di VS., che ancora non conosco, quali
siano. Vorrei aver male pronosticato, e ch’ella meco convenisse, o vorrei che
avesse ragione.
Reputo gran sorte mia l’aver fatto acquisto in VS. d’un nuovo
corrispondente e Collega in elettricità, e trovata un’occasione di divenire,
quale mi protesto di voler essere ec.”.
Alessandro Volta
Mi sia consentita una opinione personale su queste desuete idee di
“spogliarello” elettrico, concetti
che a mala pena nel ‘700 avevano un
senso, se lo avevano. Per capirli bisogna semplicemente, pazientemente e
umilmente, leggere, studiare, sperimentare [Beccaria
1772], non ci sono scorciatoie.
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