PO 21 – Il segreto di Termini (16.12.2010)
La cupola piastrellata in blu
della chiesa dell’Annunziata è senza dubbio il più noto emblema della città di
Termini Imerese (vedi AG 28).
Nei dipinti o in cartolina (vedi su Google)
essa è in genere rappresentata vista dal Belvedere (la magnifica terrazza di Termini Alta da cui si gode il golfo e il
monte S. Calogero, un panorama che, come è stato detto, ha poco da invidiare a
quello di Napoli e del Vesuvio), ma nei tempi andati, quando il Belvedere
non esisteva (l’intera zona era
disabitata oppure off limits per motivi militari),
la cupola era visibile solo dal basso (foto
a sinistra) e soprattutto dal mare (foto
a destra), e la sua rincuorante sagoma, ad ogni alba, dava il bentornato ai
pescherecci termitani. Accanto alla chiesa dell’Annunziata c’è una chiesa più
piccola, e forse più antica (tenuto conto
delle varie riedificazioni nei secoli), intitolata a S. Orsola, il cui
campanile, ancora esistente, fungeva invece un tempo da torre di avvistamento.
Non conosco o non ricordo la
quota di queste chiese, ma non dovrebbe essere superiore a 30 m s.l.m. É certo però che sorgono “a mezzacosta su uno sprone roccioso calcareo-dolomitico nel quartiere
anticamente detto delli balati”
e oggi “rucchiceddi”, come si legge
nel documentato saggio del 2001 sulle
“Rocchecelle”
di A. Contino e S. Mantia. A questi storici siamo debitori di dotte notizie di
carattere storico-architettonico, nonché sulle leggende di Sant’Orsola o “Santu Baddaru”, ma non possiamo avallare la loro diffidenza
per le parole del Solito sul porto di
Termini (vedi PO 18), cioè sulla
leggenda, per così dire metropolitana (perché
da sempre aleggia sulla nostra città), che un tempo (mille o duemila anni fa) quasi tutta Termini Bassa non esisteva.
Secondo i citati autori (ma anche secondo
altri autorevoli studiosi termitani come A. Navarra, E. Giunta, G. Mirabella e
sicuramente molti altri) “se ciò
fosse avvenuto il mare avrebbe tot
Si sa per certo che Termini,
per almeno 2000 anni, è stato uno dei
più importanti “caricatori” da cui si
esportava via mare, per esempio a Roma (porti
di Ostia o sul Tevere), il prezioso grano di Sicilia. Sul porto romano da
cui salpavano queste navi c’è però un imbarazzante silenzio o soltanto delle
ipotesi, queste sì fantomatiche, che non reggono al comune buon senso. Tuttavia
credo che il rebus si possa e si debba felicemente sciogliere se, sulla scorta
del collage presentato (foto a destra),
si presta la dovuta attenzione alle parole di Solito, Patiri
(“nell’epoca romana le onde del mare si
internavano in città, quasi al punto di lambire le soglie delle antiche Terme” loc. cit.), Tuccio
(cit. da Contino e Mantia), Gaeta (passim) e soprattutto a quelle autorevolissime del grande Nicolò Palmeri,
che nel magistrale saggio del 1822
sulle Terme Imeresi scrive: “L’antico
edificio dei b
Al “bradisismo” di origine vulcanica causato dalle potenti correnti
sottomarine di acqua calda menzionato da Palmeri o a qualche terremoto,
fenomeni che possono giustificare l’emersione della terra solo di un paio di
metri e un parziale interramento dell’acqua antistante le terme – le quali, è bene ricordarlo, non erano a 300
metri dal mare come oggi, ma “juxta littus”, come scrisse nel 1537 l’Aretio
(citato in AG 28)
– si deve poi aggiungere l’opera dell’uomo a partire come minimo dal XIV secolo, epoca in cui l’intera città
fu incendiata e rasa al suolo da Carlo
d’Artois, subì il vandalico interramento artificiale del porto (pare per favorire quelli di Solanto e di
Palermo) e fu disastrata da un’esplosione della polveriera della
Roccaforte.
Ricapitolando: in epoca romana
la “pianta” di Termini era come
quella abbozzata in PO
18; il porto, o più esattamente il punto di attracco delle
imbarcazioni, era una piccola insenatura del massiccio promontorio; il borgo (soprattutto di pescatori e di piccoli
armatori) dei “rucchiceddi”, con
le due chiese di S. Orsola e dell’Annunziata, si ergeva quasi a picco sul
mare su tali rocce ad una altezza di circa
I ritrovamenti del XVII secolo, durante gli scavi per la
ricostruzione di tutto il quartiere, dei grossi “anelli” per attaccare le navi di cui parla il Solito sono stati ingenuamente interpretati dai moderni come banali
anelli per attaccare gli asini fuori della porta di casa (sic), lasciando così per secoli il porto di Termini e il suo “segreto” sepolti sotto i materiali di
risulta della barbarie umana.