CA
24 – Gli opifici idraulici (10.5.2010)
I
pallini rossi di questa carta idrografica ottocentesca rappresentano tutti un
opificio idraulico e, visto che sono contrassegnati da
un numero, sicuramente deve esistere qualche annuario in cui sono
diligentemente elencati o censiti. Poiché non sono riuscito a trovarlo, anche
in questo caso non mi resta che lanciare un SOS via internet.
In
particolare i termitani miei concittadini localizzeranno i 4 (dal 183 al 186) detti “mulineddi”, i
pastifici di Trabia, i mulini e trappeti di Brucato (stranamente senza numero) e qualche altro isolato mulino del
circondario.
Ho
poi inserito due riquadri, uno con gli 11 opifici che
c’erano un tempo nei pressi delle copiosissime sorgenti di Scillato, un grosso
paese delle Madonie, e che scaricavano nel Fiume Imera Settentrionale; e uno
relativo alla città di Tivoli, in cui esistevano addirittura 53 opifici (dal 448 al 500; il numero 258 indica
l’altimetria della città), talmente addossati l’un l’altro da non potere
essere neanche indicati con pallini, che sfruttavano la forza motrice
dell’Aniene, dal Mezzetti
definito “fiume di luce”, per aver
dato la prima illuminazione elettrica di Roma.
Ma
tutta l’Italia è piena di migliaia e migliaia di questi vecchi opifici, molti
dei quali restaurati, trasformati in centrali idroelettriche o “riconvertiti” in impianti museali, come
nella zona del Liri e del Fibreno (Isola,
Sora, Arpino, ecc.) – la “Conca d’oro” della Ciociaria, secondo il
Gregorovius – citata nella News
precedente, che era ricchissima di cartiere, ferriere e
gualchiere.
Non
mi è finora riuscito di trovare testi ingegneristici sulla “tecnologia” dei mulini ad acqua, e forse
non esistono trattandosi di arte “povera”,
con “segreti” costruttivi ben
conosciuti e tramandati dalle maestranze o corporazioni, per esempio dei
mugnai.
Il
parametro ingegneristicamente più rilevante, in ogni caso, per “tirare l’acqua” al proprio mulino era quello di avere nelle gore o canali non tanto acqua
abbondante, ma ben calibrata o “misurata”
(vedi CA 23). Oltre a quello, non tanto ovvio come potrebbe forse sembrare, di una uscita dell’acqua altrettanto
regolare – o forse più – di quella di
entrata.