VI
3 – I “giardini” di Termini (9.10.2013)
Nelle mie letture ho trovato
moltissimi autori, a cominciare da Paolo
Balsamo e Niccolò Palmeri, che
decantano la salubrità del clima e la fertilità, anzi la “feracità” del suolo di Termini Imerese, ed ho un ricordo netto
delle file di carretti, con cagnolini al seguito, degli operosi contadini
termitani che, negli anni ’50, al
tramonto, dopo le fatiche nei loro “giardini”,
lungo tutte le strade di accesso alla città, facevano ritorno a casa.
Nel territorio di Termini,
infatti, per “iardini”
e “iardineddi”
non si intendono le ville infiorate, ma i terreni coltivati (agrumeti, uliveti, ecc.), numerosissimi
nelle campagne circostanti – in
particolare nella “valle di Bevuto” irrorata dalle acque del S. Leonardo –
e un tempo anche entro e a ridosso delle mura cittadine.
Nella sua preziosa mappa del 1720 (vedi AG
28 e il ritaglio ridotto qui riportato, con mie
integrazioni) il Daidone
ha disegnato con encomiabile zelo e con uniformità di rappresentazione la
mappatura dei singoli appezzamenti, indicandone a volte anche i proprietari (vedi, nella mappa in alta risoluzione, i citati “Giardini” di Bevuto, richiamati, per
comodità, anche nell’inserto in alto a destra del ritaglio).
Per conoscere meglio la nostra
“città sbancata” ne ho evidenziato i
giardini con dei cerchi, e precisamente verdi quelli esistenti nel 1720, blu quello enorme
formatisi con l’alluvione inversa (vedi
DA
8) e poi urbanizzato verso il 1500-1600,
e rosso
il giardino “improprio” (nella terminologia termitana) della
villa Palmeri (cerchio D), istituita solo verso la metà
dell’800. I giardini A, a ridosso delle terme, sono
le famose “selve” o “scilbe” (citatissime nei miei lavori) sotto le
quali un tempo c’era il porto e il molo romano (vedi quadro del Toma); l’area B grosso modo corrisponde al “mare
di Termini” prima del suo interramento (vedi
PO 18
e DA 8);
i centralissimi giardini C sono
del tutto spariti, sia per l’urbanizzazione, sia per la costruzione della via
Stesicoro (ne resta il fazzoletto di
terra chiamato “iardineddu a iancia”,
perché, fino agli anni della mia gioventù, vi si accedeva da piazza Gancia o, per i puristi come l’amico Enzo Giunta, piazza
San Francesco).
Nella cartina ho segnato anche
il bellissimo giardino dell’Annunziata e gli “orti” all’interno del Castello, ma di questi, se sarà il caso,
parleremo in altra sede.