44 – La lezione di Bill

 

 

William Grover Pierpont (N0HFF, 1915 – 2003), in una delle prime email (4.11.1999) che ha avuto la squisitezza di scrivermi, accenna a questioni di linguistica telegrafica che traduco e riporto qui sotto, invitando particolarmente gli amici linguisti a meditarle a fondo.

Del suo monumentale trattato The Art & Skill of Radio Telegraphy, di cui in rete esistono svariate edizioni e varie traduzioni (purtroppo non quella italiana, come da tempo ho lamentato), vi è cenno nella News 10 (e maggiormente ve ne sarà quando parleremo di Morse celere); un necrologio si trova in rete e un altro in Morsum Magnificat (N. 85, 2003).

La comunicazione umana è un campo di studi affascinante. Comunichiamo non solo con la favella, ma in vari altri modi: verbalmente, mediante “convenutamente arbitrari” simboli fonici e grafici; e non verbalmente, mediante “intenzionalmente arbitrari” simboli e pittogrammi, e mediante indicative variazioni di posizione e di movimento del corpo. Alcuni di questi simboli sono alfabetici, alcuni sono “parole”, alcuni sono equivalenti a frasi, proposizioni, periodi. Gli indiani d’America, i sordomuti, i telegrafisti hanno vari sistemi con cui comunicare. Inoltre ogni cultura sviluppa un certo più o meno consapevole tipo di comunicazione di meccanica corporea, che spesso è più fidata del linguaggio verbale. L’uomo è un comunicatore, e si sente terribilmente frustrato quando non può comunicare.

Che cosa sono i “codici” telegrafici? Il codice Morse è una lingua? Spesso è descritto così, ma l’analisi mostra che in sé non è una lingua, perché non ha le caratteristiche di una lingua, ma piuttosto a modo suo serve a comunicare in qualsiasi lingua, usando le parole, la grammatica e la sintassi di quella lingua. Il Morse è una forma dell’alfabeto, simile a quella scritta.

Un codice telegrafico si può paragonare allo spelling delle parole (i-n-s-a-l-a-t-a), sostituendo ai caratteri alfabetici i caratteri Morse. Questo si può imparare e con la pratica sistematica si diventa esperti, finché alla fine il codice diventa abituale. È una specie di combinazione del leggere e del parlare. Richiede una forma di attenzione per “creare senso” per qualche durata di tempo. A mettere le lettere isolate (che non hanno nessun significato indipendente) in parole decifrate (che noi comprendiamo) dobbiamo impararlo con la pratica, così come impariamo a leggere.

Sono cose affascinanti per gli psicologi! In tutto questo ci sono aspetti che io non comprendo, ad esempio in che modo alcuni telegrafisti diventano cosi estremamente bravi (da 60 a oltre 100 wpm)…

 

Intervento di Cavina (17.6.04)

Ha grande ammirazione per N0HFF, al punto che alcuni anni fa ne tradusse un paio di validi interventi, ma ritiene le 100 wpm (parole al minuto) un errore di battitura. Un valore più idoneo sarebbe 80 wpm, considerato anche che il primato mondiale di velocità rimane 75,2 wpm di McElroy.

 

Intervento di Gaeta (18.6.04)

Le discussioni sulle velocità raggiungibili in Morse che mi è capitato di leggere nei trattati sono infinite. Molti fraintesi derivano dalla lingua, dal metodo di conteggio, dal materiale grezzo (convenuto, testo in chiaro, ecc.). Mi permetto di rimandare l’amico Urbano all’articolo che pubblico oggi (News 45).

 

Intervento di Dragoni (18.6.04)

OK. Molte grazie.

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