106 – Il detector inglese

                                               

 

Prima di iniziare ritengo necessaria un’avvertenza circa l’utilità, in generale, di queste mie pagine da qualcuno forse ritenute scontate e banali, e da qualche altro di interesse soltanto specialistico o storico. Le cose invece non stanno così, primo perché la loro apparente semplicità è il succo di quanto raccolto in decenni di studi e in migliaia di testi consultati; secondo, perché è molto più facile scrivere oscuramente che chiaramente; terzo, perché si ha ben maggior credito e rispetto intimidendo la gente con formulacce e cose incomprensibili; quarto, perché le nozioni da me esposte sono cose tecniche, pratiche, valide fuori dei gabinetti scientifici dei dotti, o sedicenti tali; quinto perché se ne possono anche trarre insegnamenti.

Agli albori dell’elettrotecnica, quando i concetti di tensione (volt) e di corrente (ampere) non erano stati né introdotti né ancor meno formalizzati, gli apparecchi oggi universalmente noti come voltmetri, amperometri, galvanometri, ecc. si chiamavano “bussole telegrafiche” o “detector”.

In Italia i fisici, e segnatamente gli storici della scienza, conoscono certamente i galvanometri ad aghi calamitati orizzontali, per esempio quelli astatici del Nobili, la bussola dei seni, quella delle tangenti, tutti strumenti di sensibilità squisita, da usare “sotto campana”, ben livellati, ben orientati secondo il magnetismo terrestre, ecc. Sugli stessi principi fisici e, si badi, sempre ad ago orizzontale, erano costruite anche le dette bussole telegrafiche, apparati spartani e “da battaglia” usati dai telegrafisti nostrani nel loro lavoro.

Molto meno noto, in Italia, è l’analogo strumento ad ago verticale adoperato in Inghilterra dai primordi della telegrafia. Il Cappanera, traducendo la sesta edizione del Manuale di telegrafia pratica di Culley (Firenze, 1876, p. 69), scrive:

Vi sono due specie di galvanometri: uno, detto talvolta detector, in cui l’ago è appeso verticalmente ed è mantenuto in tale posizione dal peso dell’estremità più bassa (disegno in alto a sinistra); l’altro in cui l’ago riposa sopra un punto d’appoggio, come nella bussola marina, oppure è sospeso per mezzo di un filo. Annotando poi che il “detector” può con maggior proprietà chiamarsi “galvanoscopio” poiché il suo ufficio principale è di far riconoscere la presenza di una corrente, non di misurarla. Nel linguaggio scientifico italiano non essendovi un vocabolo che corrisponda al vocabolo inglese “detector(scopritore), ho preferito di riprodurlo testualmente.

In realtà il detector serviva a rilevare non solo la presenza ma anche il senso della corrente. Inoltre non dovrebbe esserci segnata nessuna scala, come nel disegno di destra; se c’era, come nel disegno di sinistra, aveva solo funzione orientativa e approssimativa. L’ago calamitato non è quello visibile dall’esterno, ma uno meno snello, solidale a questo, immerso nel campo magnetico dell’avvolgimento “moltiplicatore” e di forma romboidale (vedi disegno centrale tratto da A. Di Canosio, Il Telegrafista, Torino 1861) per evitare eccessive e fastidiose oscillazioni durante l’uso o le “ispezioni”, specie ad opera degli “ispettori” telegrafici.

Il termine “detector” in Italia è associato al rivelatore a galena, al carborundum, ai diodi a cristallo, al “detector magnetico” di Marconi o, in generale, a tutto ciò che serve come tester. E infatti, come insegnava Matteucci, col galvanometro-detector soprattutto si “scopre”, si rivela e si rileva l’elettricità.

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