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– Il fonografo a mano e a piede
Proseguendo le News sul fonografo di Edison
a integrazione o chiarimento delle osservazioni centrali pubblicate in AG 16 (L’iposema di Lucidi) ecco alcune
immagini e alcune considerazioni sull’uso o “servizio da studio” dell’apparecchio (vedi Note
illustrative sul fonografo, ultima pagina).
Mentre i grammofoni
si svilupparono enormemente per la musica, i fonografi furono usati principalmente (e fino a circa il 1930) per la parola, come dittafoni o macchine
per dettare – macchine, si badi, reversibili.
Gli “operatori fonografici”, dopo
aver raschiato o “piallato” i
cilindri di cera già usati, per farne letteralmente tabula rasa, vi dettavano, per esempio, lettere commerciali o
articoli di giornali che poi i loro colleghi “trascrittori” riportavano sulla macchina da scrivere (immagine a destra). Seguendo la massima
“un buon dettatore fa un buon
trascrittore”, in fase di registrazione, nei momenti in cui si “raccoglieva il pensiero”, si alzava la
leva per fermare la macchina e la si riabbassava una volta “trovata la parola”. Chi invece trascriveva
era un copista che seguiva ciecamente le parole del dettato, senza curarsi del
significato. Se era qualcuno alle prime armi o, come si diceva, “renitente all’ascoltazione”, doveva
raccogliere una quindicina di parole, poi fermava il fonografo, le batteva
sulla typewriter e indi continuava.
Verso la fine dell’800, venivano
commercializzate queste versioni del fonografo:
1. fonografo a mano (portatile)
2. fonografo a pedale
3.
fonografo a motore ad orologeria (a molla o a peso)
4.
fonografo a motore idraulico (attaccato alla rete idrica)
5.
fonografo a motore elettrico (alimentato dalla rete elettrica
pubblica)
6.
fonografo a motore elettrico (alimentato dalle pile voltaiche)
7.
fonografo a motore elettrico (alimentato da accumulatori o pile
secondarie)
La costanza della velocità era
imprescindibile solo per l’uso musicale
della macchina, a cominciare dai fonografi esposti nelle fiere (tipo juke box, per intenderci), invece
per le parole non solo non erano
necessari motori, ma anzi era preferibile, si badi molto bene, l’azionamento a mano o “a piede”, quest’ultimo addirittura “più comodo” (Note citate).
Ciò si capisce bene da come il Du Moncel “maneggiava” il
fonografo (disegno a sinistra). A
differenza che nel caso del Preece (vedi Lucidi
News 61) qui sembra rispettata la coordinazione tra i movimenti della
mano (destra) che aziona la manovella
e i movimenti della laringe che parla dentro, anzi “toccando” l’imbuto.
Il fonografo era una vera e propria “scrittura a mano fatta
con la bocca”,
a velocità
grafica, cioè
molto bassa e con pause inframmezzate. Come nella manoscrittura man mano che si
scrive bisogna spostare il foglio di carta (rispetto
alla penna scrivente) con la mano (la
stessa che tiene la penna o l’altra, come fanno alcuni stenografi e alcuni
popoli), così nel fonografo bisognava spostare con la mano il foglio di stagnola rispetto allo stilo parlante (indenting, vedi AG 16).
Le due foto di chiusura rappresentano il modello di
fonografo cosiddetto “portatile”, da
azionare appunto a mano, e la vecchia macchina da cucire in cui l’operatore
coordina i movimenti di entrambe le mani, nonché quelli degli occhi e, in
qualche caso, anche quelli dei piedi.