25 – La parola perfezionata
La parola telegrafia, in senso lato, dovrebbe essere sinonimo di comunicazione, e come tale non sarebbe
un’invenzione umana, ma un dono che
Gli studi di telelinguistica,
cioè del Morse insito o nascosto nella lingua comune, come ampiamente
specificato altrove nei miei scritti, presuppongono la conoscenza, almeno
sommaria, dell’evoluzione storica dei sistemi di comunicazione e un po’ di
elettrotecnica, o almeno di terminologia telegrafica. Con questo bagaglio
propedeutico si potrà accedere agevolmente a considerazioni di carattere
linguistico, a cominciare dalle seguenti, tutte mutuate dal citato Moigno.
I segni telegrafici potevano riprodurre il pensiero in vari
modi:
1) rappresentando delle frasi convenute prima (come
i geroglifici);
2) rappresentando le lettere dell’alfabeto;
3) con numeri che rappresentino o
lettere o parole o frasi (doppio vocabolario).
Il primo metodo non può esprimere pensieri imprevisti (idee nuove), però è semplice. I fratelli
Chappe (di cui uno era seminarista)
lo hanno adottato per i nominativi e
i segnali di servizio (urgenza, chiuso
per nebbia, ecc.). Il secondo metodo è il più esaustivo, perché permette di
comunicare tutte le idee, ma è “antitelegrafico” perché richiede tempi
enormi, mentre, lo ripetiamo, anche al tempo dei Chappe lo specifico e
l’urgenza della telegrafia era l’istantaneità della comunicazione. Il terzo è
quello più praticabile, mediante i famosi vocabolari.
Ci sarebbe anche un modo
sillabico di comunicazione, il cui solo vantaggio rispetto a quello letterale è un numero di movimenti un po’ inferiore. Questi movimenti, com’è noto, i Chappe li ottenevano
variando le posizioni (verticale,
orizzontale, inclinata a destra e a sinistra) delle loro aste. Riservando
92 segni ad altrettanti numeri ed altrettante pagine del vocabolario, ognuna
con 92 parole, si potevano trasmettere 8464 parole (il primo segnale del
telegrafo era la pagina, il secondo il numero in questa). Nelle macchine
telegrafiche poi i movimenti potevano
essere semplici o composti: nei primi i segnali sono del tutto indipendenti gli uni
dagli altri; negli altri un errore si ripercuote in tutta la corrispondenza
successiva.
Anche se scarta il metodo letterale Moigno ha
chiarissimo il nocciolo del problema. “L’arte
della telegrafia ha lo scopo di studiare le forze e i fenomeni della natura per
raggiungere quella comunicazione rapida a distanza che
Moigno intuisce anche l’importanza del rumore
associato alla scintilla dei telegrafi elettrostatici: agendo sull’orecchio
rendeva spontaneamente attenti gli operatori e soddisfaceva la condizione essenziale di tutta la telegrafia, cosa che invece mancava ai muti e neri segnali di Chappe che non svegliavano l’attenzione e potevano solo essere letti sullo sfondo chiaro del cielo
(luce e nebbia permettendo…).
Il Morse fonetico, come sappiamo (vedi, in particolare, le osservazioni di Charlier in Lucidi News 22), si rivelerà una “imitazione della parola” così perfetta
da quasi annullare i confini tra telegrafia e telefonia. Ma in quella
telegrafia pionieristica non ci si ponevano problemi linguistici che comportassero “operazioni dello spirito” per comprendere, scrivere o
ripetere i segnali. Anzi, si badi molto bene, per i bisogni del servizio erano
bastevoli, se non più indicati, uomini di mediocre intelligenza.
Lo stesso Morse,
per evitare di dover stimare o misurare con la mano o col pensiero la durata della pressione da esercitare sul
tasto, vagheggiò una tavola coi segni precomposti, che si sarebbero potuti
trasmettere con una semplice passata di stilo. Mentre Bain, antesignano della telegrafia
automatica, ebbe addirittura
l’idea, a prima vista ancora più felice, di precomporre l’intero dispaccio,
abolendo la necessità della presenza e della vigilanza degli operatori. Moigno,
dal canto suo, ritenne invece che le linee e gli spazi di molteplici
lunghezze del Morse comportavano
gravi inconvenienti, e semmai avrebbe dato la preferenza all’alfabeto di Steinheil che usava un solo punto e una
sola linea (senza che nessun segnale comprenda più di 4 elementi).