Introduzione

 

La prima edizione [218] di questa rassegna buccoliana si concludeva con alcuni suggerimenti operativi atti a sollecitare studi approfonditi su questo scienziato misconosciuto e sul quale invece potrebbe e dovrebbe fiorire una letteratura paragonabile, per esempio, a quella su Sigmund Freud. La stessa speranza mi ha indotto a riprendere quel lavoro, a integrarlo con altri dati nel frattempo raccolti, a strutturarlo in maniera più razionale e, infine e soprattutto, a presentarlo ad una più vasta e spero interessata schiera di studiosi[1].

I primi tre elenchi presentati, anche se ben lungi dall’essere esaustivi, sono abbastanza omogenei e, per così dire, prevedibili e quindi non necessitano di particolari commenti. È necessario invece spendere qualche parola a spiegazione e giustificazione della breve e apparentemente disparata lista Altri strumenti, che raccoglie opere in cui il nome di Buccola non compare affatto e che, in misura ben maggiore delle normali bibliografie, risente delle scelte, degli interessi e certamente delle deformazioni professionali del compilatore.

Alcuni di questi lavori, [401, 409], danno idea di qualche ambiente in cui visse Buccola; altri, [404, 411, 413, 414, 417, 418, 421, 424, 428, 429], proseguono quella via maestra intrapresa da Buccola nel suo insuperato e fondamentale studio sulla scrittura [184 e cap. XIV di 189]; altri ancora, [402, 403, 407, 430], concernono la psicometria; quasi tutti i rimanenti, [408, 415, 422, 425, 426, 427], infine, riguardano uno scienziato apparentemente estraneo, il fisiologo tedesco Karl Vierordt.

Nel corso delle mie prime ricerche su Buccola, di cui ho in parte riferito in [219], una sua pronipote, Graziella Foto, vedova Guaiana[2], ebbe a raccontarmi di una devozione quasi filiale di Buccola verso un “tedesco”, un non meglio precisato Hitt o Hirt, con cui era in strettissimo rapporto scientifico e a causa della morte del quale il giovane Gabriele fu preso da uno sconforto tale da morire ben presto a sua volta. Questa scarna e vaghissima notizia, più che portare luce sui tanti misteri della morte di Buccola, li infittiva, tanto più che i miei tentativi per individuare questo fantomatico tedesco (Hipp, Hitzig, Gudden?) per molti mesi furono vani. Alla fine però, grazie a una serie di riscontri, su cui non posso soffermarmi, raggiunsi l’assoluta certezza che si trattava del summenzionato Vierordt.

Forse questa mia scoperta, che “rivelo” oggi per la prima volta al mondo scientifico, potrà sembrare di poco conto. Eppure essa schiude concrete possibilità di indagini e può portare fecondi contributi, non solo sulla storia della scienza, ma almeno su una branca della scienza stessa, la psicoacustica.

Non è questo il momento né il luogo per affrontare tematiche tanto impegnative. Mi limiterò, per giustificare di più l’accoppiata Buccola-Vierordt e gli strumenti di lavoro selezionati e segnalati, a far notare che nel decennio 1875-1885 in cui operò Buccola, quando si svilupparono tre invenzioni destinate a rivoluzionare la civiltà, e cioè il microfono, il telefono e il fonografo, si dibatteva in tutto il mondo, non solo tecnico ma anche scientifico-accademico, sulla famosa e inesplicabile “teoria del telefono” – vedi per esempio [420] –, una problematica che, con l’avanzare dell’elettronica, è stata messa gradualmente in ombra e poi definitivamente (e indebitamente) in soffitta. Vierordt poté lasciare solo un’opera postuma sulla “forza del suono” [427], mentre il nostro Buccola, che forse al riguardo avrebbe potuto dire qualcosa di definitivo, non fece in tempo.

Concludo con un appello spicciolo, da aggiungere a quelli lanciati in [218], e cioè che venga promossa dalla comunità scientifica la traduzione, almeno, della citata opera postuma del Vierordt.

 



[1] A beneficio di costoro informo che non sono un medico (purtroppo), né un filosofo (per fortuna), ma solo un tecnico, per l’esattezza un elettro-tecnico che si è posto come meta – ahimè, in età avanzata – di studiare da psico-tecnico, cioè proprio la disciplina fondata da Gabriele Buccola. La parola “tecnica” però, come già avvertiva Ponzo [362], credo che in ambito accademico continui ad essere mal digerita!

[2] Nell’edizione a stampa, per un deprecabile errore, il cognome della carissima Donna Graziella è Aragona.