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– Un maledetto imbroglio
Accettando il consiglio di qualche
amico (sincero) di persistere, con coraggio, nella strada della lucidiana “pacatezza” da qualche tempo da me
imboccata, mi risolvo a rendere del tutto pubbliche le due lettere già
allegate, in via riservata, agli amici Gambarara
e Cimino (vedi News precedente).
La speranza è che riescano finalmente a sbrogliare gli equivoci o la “telenovela” sulla diffamazione del Bitnick; il timore è che ingarbuglino
ancora di più l’intricatissima matassa dei rapporti tra Di Trocchio, Gaeta e De Mauro (in apertura le copertine di tre opere degli stessi); la certezza,
comunque, è che il sottoscritto, umilmente, fatta ammenda delle proprie
intemperanze, ha cominciato a vedere le cose con più distacco e serenità.
La prima lettera è quella da me
inviata, esattamente due anni fa (11.6.2003),
ad un avvocato. La trascrivo in rosso per sottolineare, e farmi
perdonare, lo stato d’animo “sanguigno” che l’aveva dettata. La seconda,
di poco posteriore, è quella inviata dal Di
Trocchio in risposta alla convocazione dell’avvocato (la posso rendere pubblica perché il Di Trocchio me l’ha esplicitamente
consentito).
“Avere
una buona idea può capitare a chiunque. Il difficile è farla accettare. C’è chi
semplicemente non la capisce e chi la rifiuta per i motivi più vari,
dall’invidia al pregiudizio, per avere l’opportunità di appropriarsene o perché
ha in mente di sfruttarne altre. Infine ci sono gli esperti, che giustamente
non vedono di buon occhio che dilettanti e outsider li mettano in ombra”
Comincia con queste parole, cara Lunari, il libro “Il genio incompreso”,
Oscar Mondadori, 1998, di
Per un anno – il 2001 – gli ho fatto la corte per
sottoporgli il Bitnick. La sua prima
email è del 11.1.2001: “Non ho ancora capito se il suo Bitnick è
una provocazione o una idea effettivamente realizzabile. In ogni caso la trovo
molto interessante o (se si tratta di una provocazione) molto divertente. Mi
capita ogni tanto di trovarmi dalle sue parti e avrei piacere non appena
possibile di incontrarla”. Finalmente l’incontro avvenne, a casa mia,
il 18.11.2001, una domenica pomeriggio, ed è durato un’ora e mezza.
Gli mostrai il Bitnick
e una videocassetta dimostrativa del sistema: si rese conto benissimo della
serietà della cosa (vedi Bitnick News 52 e 70) e mi chiese altra documentazione e un
po’ di tempo per pensarci su. Al colloquio, cordialissimo (era presente mia moglie, caffè, cioccolatini, problemi della scuola,
ecc.), da parte mia mi accorsi che questo professore non era affatto
supponente, anzi quasi alla mano e in gamba. Ad un certo punto egli,
candidamente e con l’idea di farmi un complimento, se ne esce più o meno con
queste parole: “E pensare che ero venuto
prevenuto, mi ero fatto un’idea diversa di lei perché qualche tempo fa,
parlando con De Mauro sotto casa (abitano vicino), incontratolo mentre portava a spasso il cane, il discorso per caso
(?) cadde su di lei e De Mauro lo “mise in guardia” con queste testuali parole:
Gaeta
è un mafioso, mi ha scritto lettere minatorie…”.
Come lei vagamente sa i miei rapporti con De Mauro
sono stati piuttosto freddi (per
divergenze sul piano scientifico), ma mai e poi mai (povero ingenuo!) avrei potuto pensare ad una diffamazione, a un
discredito di tale bassezza. Così, cadendo dalle nuvole, feci presente al Di Trocchio che sicuramente si sarà
trattato di un malinteso, ed anzi (altra
mia grande ingenuità!) lo pregai esplicitamente e prioritariamente
di chiarire la cosa col De Mauro,
perché mi “addolorava” che il Signor ministro della pubblica istruzione potesse
avere questa idea distorta di me e del Bitnick.
Pensavo che una telefonata di Di Trocchio
al De Mauro (guarda che Gaeta è una persona squisita, la sua
invenzione è cosa serissima, ecc.) avrebbe ammorbidito l’atteggiamento di De Mauro.
Una settimana dopo, il 24.11.2001, parlai 10
minuti al telefono con Di Trocchio:
mi confermò che la mia invenzione lo interessava moltissimo e che aveva preso
accordi con la famosa rivista di divulgazione scientifica Focus per un articolo in
cui saremmo stati intervistati sia io che lui. Aggiunse testualmente che la
battaglia dovevo combatterla io, però lui poteva aiutarmi a far conoscere il Bitnick, come era successo all’inventore
della radio a molla che trovò i finanziatori dopo la presentazione in
prima serata alla BBC. La cosa ovviamente mi fece enorme piacere, ma la mia
ingenuità era in agguato e candidamente gli chiesi se per l’altra cosa, quella
che mi stava più a cuore, e cioè la stima del ministro, aveva fatto niente. Mi
rispose testualmente (e sinceramente) che aveva telefonato a De Mauro, senza trovarlo, che lui in
quel periodo era indaffaratissimo perché stava cambiando casa, ma che potevo
stare tranquillo perché sicuramente era stato lui a fraintendere il ministro
e comunque gli avrebbe parlato prestissimo perché aveva saputo che De Mauro “lo
aveva cercato”.
Non seppi niente per oltre un mese (c’erano le
feste di Natale) e preferii aspettare educatamente e prudentemente, limitandomi
a mandargli una email di auguri.
Il 7.1.02 gli telefonai e soprattutto dal tono (queste cose fonetiche io le studio…)
capii che qualcosa era cambiato: “Forse è
meglio parlare a voce con qualcuno della RAI… Il ministro non l’ho più sentito,
ora non abito più vicino a casa sua… Quando capita senz’altro riferirò…”.
Ora, a mente fredda, la cosa è lapalissiana, ma all’epoca ero ancora un fesso e
un illuso… E aspettavo…
Evidentemente egli aveva parlato con De Mauro (è probabile addirittura che De Mauro lo avesse cercato proprio per mettere
le mani avanti…) e si era convinto che l’errore era sì suo, ma di segno
contrario! Quella di De Mauro lungi
da essere una “battuta scherzosa” come aveva minimizzato lui (e come
probabilmente minimizzerà nella deposizione), si rivelò non tanto una opinione
radicata di un suo “superiore” (e probabilmente protettore) accademico
configurabile come una sorta di “diffamazione
d’ufficio” (ubi maior minor cessat)
e di cui Di Trocchio doveva
disciplinarmente (ordini di scuderia, disciplina di partito, ecc.) prendere
atto, ma un vero e proprio veto di De Mauro.
(Le domando, avvocato: questo veto, questa
preclusione - Focus non s’ha da fare,
il Bitnick non si deve prendere in
considerazione, Gaeta non deve
esistere – come si configura giuridicamente?)
Da allora Di
Trocchio e tutti gli altri accademici mi hanno di fatto isolato,
emarginato…, e questo malgrado il fascicolo scientifico sul cronoscopio di
Hipp che, sulla carta, mi dovrebbe “riabilitare” (vedi attestazioni di merito
scientifico nella mia biografia sul sito).
Prima di concludere, accenno un ultimo episodio
che potrebbe essere utile per riscontrare ciò che Di Trocchio sottoscriverà. Il 28.10.2002 mi arriva una email dal
Dott. Roberto Alatri, capo ufficio stampa del CNR, che, incuriosito
dal Bitnick, mi dice testualmente “Parliamone,
ma niente bufale!”. Io gli rispondo subito con l’email che le ho inviato
poco fa… Nei mesi successivi Alatri
dice che non ha ancora parlato con “Federico”
(Di Trocchio), che ha mille cose da
fare, si nega, ecc.
Forse è il caso di convocarlo, eventualmente prima
di Di Trocchio, per confrontare le
testimonianze. Qui interviene lei, avvocato... Prepari le domande per Di Trocchio e me le sottoponga. Se crede
posso venire a studio. Non dobbiamo sbagliare una mossa. Di Trocchio è il nostro teste chiave. Impaurirlo, potrebbe
diventare lui l’imputato…
Roma 27.06.2003
Gentilissima avvocato Lunari,
in
risposta alla sua del 16 giugno mi spiace comunicarLe di non poter aderire, a
causa del sommarsi di impegni professionali a problemi familiari, alla sua
richiesta di un colloquio inteso ad assumere informazioni utili alla tutela
degli interessi dell’amico professor Gaeta.
In
merito tuttavia posso dichiararLe che l’incontro da Lei ricordato tra me e il
professor Gaeta (e avvenuto in casa Gaeta in una data che potrebbe essere
quella da lei riferita) era finalizzato all’acquisizione da parte mia di
elementi utili alla comprensione del funzionamento del Bitnick, apparecchio
inventato e messo a punto dal professor Gaeta del quale lo stesso professor
Gaeta mi aveva ripetutamente parlato per telefono e illustrato con messaggi di
posta elettronica e con l’invio di un opuscolo. In tale occasione ebbi modo di
farmi una opinione precisa dell’apparecchio, anche tramite una simulazione
concreta di funzionamento che coinvolse i familiari del professor Gaeta e, se
non ricordo male, dei vicini di casa.
Nel
corso del colloquio e anche nelle numerose telefonate successive con l’amico
Gaeta abbiamo commentato motivi e circostanze dell’incomprensione e della
resistenza da parte di studiosi e professionisti potenzialmente competenti nei
confronti dell’invenzione del professor Gaeta. Questo tipo di resistenza è
stato per me argomento di studio e oggetto di un libro (Il genio incompreso)
che, se non ricordo male, fu causa occasionale della conoscenza tra me e il
professor Gaeta.
In
tali colloqui ho talora riferito anche opinioni di altri colleghi che avevano
espresso incomprensione o perplessità nei confronti dell’invenzione del
professor Gaeta ma escludo categoricamente che si trattasse di opinioni o
affermazioni denigratorie, ingiuriose, calunniose o diffamatorie nei confronti
del professor Gaeta.
Peraltro,
riferendosi a tali opinioni, lo stesso professor Gaeta ha usato con me, per
definirle, i termini di “screzi” o “equivoci”, screzi ed equivoci che, almeno
in parte, possono essere stati generati dalla assiduità e dall’insistenza con
la quale il professor Gaeta ritiene di dover perorare la propria causa e che
talora rischia di superare i limiti della civile e cordiale convivenza.
Personalmente ho sempre ritenuto di dover giustificare questo atteggiamento del
professor Gaeta per la consapevolezza, maturata nel corso dei miei studi, del
disagio psicologico nel quale si trova l’inventore che non veda chiaramente
riconosciuti i propri meriti, ma altri possono aver frainteso o giudicato
eccessiva e invadente tale assiduità difendendosene e lamentandosene senza
tuttavia, per quanto mi consta, trarne motivo per diffondere notizie false,
calunniose e diffamatorie per la persona del professor Gaeta.
Questo
è quanto sono in grado di riferire in merito all’incarico da Lei ricevuto.
Cordialmente, prof.