RE
58 – Le “pile” di Termini (21.11.2012)
cannolu cipudda pili (vasche per lavare)
cannolu rossu
Ho
girato dall’uno all’altro polo
non ho visto un siciliano pisciar solo!
Tale “massima”
puntualmente me la ricordava mio nonno Andrea,
a cui voglio dedicare queste righe, durante la sua rituale sosta fisiologica al
vespasiano sotto la matrice, tutte le volte che lo accompagnavo al cinema Eden
e che… mi rifiutavo di imitarlo. Di lui ricordo tante cose: la macchina
fotografica Comet che mi regalò per la Prima
Comunione, le lezioni sul suo uso che mi fece dare dai fotografi Cespa e Marrix, i pezzi di pellicola chiesti all’operatore Mascari per mostrarmi – ben prima di Tornatore! – la fulminea e
pericolosissima accensione della celluloide, i sassolini lanciati con la fionda
o le pallonate che i “carusi”
termitani si divertivano a tirare alle spalle degli “utenti” dell’orinatoio sotto al castelletto di piazza Gancia (vedi AG 28, fig. 24), ecc.
Quest’ultimo aneddoto ci introduce al tema di questa News:
l’acqua “corrente” di
Termini, cioè l’acqua Cornelia che, secondo la tecnica tipicamente romana,
fluiva “perennemente” (a pelo libero, nell’acquedotto Cornelio)
dalla sorgente di Brucato alla torre di compressione della Barratina
e indi (intubata in un enorme doccione di
piombo e costeggiando le mura della città) a Porta Caccamo e a Porta
Palermo, fino al grande “castello”
alla villa Palmeri da dove veniva ripartita (non più a pressione, ma a caduta) ai
numerosi “castelletti” della città,
alla fontana monumentale della piazza, alla mastodontica cisterna (da poco riscoperta) della Fortezza e ai
“cassoni” posti nei punti più alti
delle singole case. Questo tema è ambizioso e non può essere certo esaurito in
questa scheda, che invece si prefigge il ben più modesto scopo di aggiungere
qualche altra briciola ai contributi già apparsi in questi Atomi sulla
nostra secolare cultura dell’acqua, con la speranza che un giorno, se i
Termitani autentici lo vorranno e soprattutto collaboreranno,
possano essere tutti tradotti in un’opera più corale e “monumentale” (nel senso, si
badi, dato a questa parola da Andrea Pozzo – vedi RE 45).
Grazie al semplice principio dei vasi comunicanti, o se si
preferisce dei “sifoni rovesci”,
l’acqua dal castello e dai castelletti arrivava, mediante tubi sotterranei e
colonne ascendenti (anche esterne agli
edifici), rispettivamente alle cisterne del Belvedere e alle “cassette di distribuzione” cittadine (che potevano servire varie utenze e che
erano chiuse da un lucchetto) poste quasi ai tetti degli edifici. Da qui,
come già accennato, perveniva al serbatoio superiore della casa, da cui, per
mezzo di uno sfioratore (troppopieno),
“ricadeva” negli
eventuali altri serbatoi dei piani inferiori (formando una specie di cascata) oppure direttamente nelle “pile” poste a piano terra e che, oltre a
conservare l’acqua, servivano per lavare e sciacquare i panni.
La citazione finale di AG 28, temo un po’ criptica anche
per i termitani delle ultime generazioni, si riferiva proprio a questi “pili” (allusivamente italianizzati in “peli”), nei quali andava a finire “l’acqua che si intromba
nello catuso” (cioè nel tubo). A rigore, però, il “ciclo” perenne dell’acqua non finiva nella “pila” perché anche questa aveva il suo “troppopieno” che comunicava colla o colle vasche adiacenti (vedi schizzo al centro), indi tramite la
rete fognaria terminava a mare. Lo stesso dicasi del troppopieno (il cosiddetto “canale caricatore” – vedi
RE 13) della
cisterna della Fortezza.
Dell’acquedotto Cornelio e del castello della villa Palmeri rimangono miseri e quasi irriconoscibili resti,
molti storici castelletti sono stati smantellati, i lavatoi dei “bassi” termitani sono quasi tutti
spariti… Eppure, grazie a quanto meritoriamente salvato dalla demolizione o
restaurato da Llyons, Sovrintendenza, Siciliantica, ecc.
e soprattutto da quant’altro le istituzioni vorranno recuperare, ancor meglio
tutelare (ad esempio il “cannolu cipudda” col suo
castelletto, foto a sinistra) e, soprattutto, approfondire dal punto di
vista idraulico (e non solo archeologico
o architettonico) a Termini Imerese rimane un patrimonio culturale unico,
esempio completo e faro del sistema idrico dei romani, senza rubinetti, senza
contatori e senza acqua “incarcerata”
da tappi manuali o chiusure automatiche a galleggianti.
La foto di destra è il maggior “cannolo” (cannolu rossu, cioè
“grosso”) di Termini, all’angolo tra via Roma e via Cicerone.