RE 30 – Il “mangano”
del velista (16.12.2011)
“Non
abbiamo alcun dubbio che l’uso assai improprio dal punto di vista del lessico
peculiare della Fisica dei termini potenza, forza, velocità, ecc. faccia rizzare i capelli in testa a più di un ingegnere, o a
chiunque abbia una cultura accademica specifica nel settore, ma le esigenze di
divulgazione e di approccio pratico tipiche del campo velico impongono queste ‘dissonanze’. Ce ne scusiamo con le anime sensibili”.
Questa frase scultorea si legge a p. 82 di “Rigging. Tutto quello che avreste voluto sapere su
cavi, manovre, winch e l’albero di una barca a vela
da crociera o regata” (Roma, 2004), un libro, oltre a quelli citati finora,
assolutamente imprescindibile per padroneggiare Reuleaux. Si
tratta di un manuale tecnico, ma di altissima specializzazione, perché nato e “cresciuto” nell’agguerritissimo “backstage” delle gare veliche
internazionali tipo America's Cup. Inoltre, caso probabilmente unico, non si tratta di una
traduzione, ma dell’opera originale di un appassionato e competente velista e “rigger” italiano,
Danilo Fabbroni
(a sinistra la copertina della versione
inglese del 2008).
Essendo la mia cultura marittima limitata ai traghetti della
Tirrenia e ai pedalò di Ostia, ho fatto un corso acceleratissimo di cultura
velica (un
grazie al prof. Tommaso Spinelli), per poter “estrapolare” dalle miriadi di cose di
natura velica di Fabbroni
le poche nozioni di taglio ingegneristico che ci possono servire per “capire” Reuleaux.
Il senso, la funzione e lo scopo del “rigging” è trasmettere allo scafo la
potenza incamerata dalle vele (p. 7).
Organo principe di questa “trasmissione”
(Treibung)
è il winch
(dal tedesco Winde,
argano) del disegno centrale (da p.
22), un “mangano” non dissimile
da quelli magistralmente presentati da Reuleaux
e da Poleni (vedi RE 19). Per
tesare o “cazzare” la vela un membro
dell’equipaggio particolarmente robusto, il “grinder”, fa compiere alla “cima”
alcuni giri o “colli” attorno al
tamburo e con una mano inizia a girare la manovella,
mentre con l’altra recupera la cima superflua. La scelta delle cime è
essenzialissima (oggi ne esistono di
sofisticatissime e costosissime), anche tenendo conto degli attriti sul
tamburo che possono “bruciarle” – il sovrariscaldamento
è “l’ammazza cime” per eccellenza, dice Fabbroni – soprattutto se vengono rilasciate o “mollate” a strappi.
A seconda del verso
di rotazione della manovella il winch gira a due velocità – ma sempre nello stesso senso! – e questo grazie a due ruote oziose
e a nottolini di arresto. La cima che fuoriesce dal winch
può essere tirata via da un marinaio, il “tailer”, o può essere estromessa
automaticamente col geniale dispositivo “self-tailing” (foto a
destra). La cima si fa passare tra due ganasce o dischi di gomma dura (strozzatore o “stripper”)
e il “dente” fisso (nichelato) la caccia via man mano che arriva,
in modo che quella spira sia sempre l’ultima. In Reuleaux (§ 298) è
descritto uno strozzatore simile (Clamp Pulley) brevettato da Fowler.