2.
Estetica e Fonetica
Questo era il titolo inizialmente previsto per questo
Atomo, dopo il ritorno di fiamma per la filosofia seguito alla scoperta del
libro di Kittler di cui riproduco la
copertina (da internet).
Pur non leggendo il tedesco, ma attratto, un po’ come Buccola, dalla cultura germanica e, nella fattispecie, dalle
illustrazioni di questo libro, ho voluto approfondire, anche se ciò mi è
costato uno sforzo esegetico particolare.
Aiutandomi con una traduzione inglese, ridotta o
rifacimento parziale[1], ho ritrovato le teorie di McLuhan (gli strumenti del
comunicare, l’uomo tipografico, il medium è messaggio, la costellazione o
galassia Gutemberg, ecc.) di cui mi ero nutrito negli anni verdi e che il
massmediologo e docente di estetica Kittler
ha sapientemente ripreso con argomenti e con linguaggio adatti alle mie umili
corde di “tecnico”.
Accanto agli altri autori e argomenti classici, o semplicemente di moda, e che devo purtroppo limitarmi ad elencare alla rinfusa (strutturalismo, Marx, Marcuse, Wiener, Saussure, Freud, Mallarmè, Rilke, grammatologia, Derrida, Hegel, rivoluzione industriale, Arnheim, Lacan, Foucault, Ong, Leroi-Gourhan, Baudrillard, Goethe, riproduzione meccanica e arte, Benjamin, ecc.) Kittler dà ampio e insolito spazio ad argomenti a me più congeniali (microfono di Hughes, telefono di Bell, vocoder, meccanica locomotoria di Mayer, Edison, psicologia sperimentale, manoscrittura, prensilità, Taine, Vogt, ecc.), ma soprattutto al fonografo di Guyau (vedi cap. 3), alla macchina da scrivere di Heidegger (vedi cap. 4) e a Nietzsche.
Nietzsche, com’è noto, a causa dei
suoi malanni – emicrania, quasi cieco da un occhio, zoppo – dovette lasciare la
cattedra di Basilea e trasferirsi a Genova. Qui, primo filosofo “meccanizzato”, fu costretto a servirsi di una macchina da scrivere
che lo trasformò quasi in automa,
fino a quando la typewriter gli si
ruppe, per l’umidità di certi acquazzoni, ed egli “tornò ad essere un uomo”[2].
Intanto però aveva scoperto che i nostri strumenti di scrittura lavorano anche
sui nostri pensieri.
Cercando di schematizzare questa magnifica scoperta
possiamo dire che la società subisce due
distinte alfabetizzazioni: quella della scrittura mano, ma della relativa
lettura stentata, spesso pubblica e ad alta voce; e quella della scrittura a
macchina e della
relativa lettura veloce, e spessissimo silente e personale. Colla prima, cioè
coll’istruzione obbligatoria, si scopre che si possono “tritare lettere senza sforzo, risparmiando gli organi vocali”, pur
conservando l’alfabetizzato la sua individualità nell’esteriorità del flusso
continuo di inchiostro e lettere[3].
Con la macchina da scrivere, poi, la scrittura o battuta diventa cieca, gli occhi lavorano solo in
lettura e, soprattutto, nasce una del tutto nuova abitudine alla parola scritta
e stampata, perché composizione e, per così dire, “pubblicazione” si fondono insieme.
Per naturalizzare
la comunicazione, osserva Kittler,
dalla scrittura fu tolto lo sforzo e
dalla lettura fu eliminato il suono.
Così, però, la scrittura non è più una naturale estensione del pensiero, perché
comporre e dettare alla macchina, che sforna parole con flusso ininterrotto e inexpensive, diventa
di fatto la stessa cosa. La typewriter dunque, inaugurando l’era della “riproduzione di massa”, tolse sì agli
uomini la penna d’oca e alle donne – la valanga delle segretarie! –
l’uncinetto, però al prezzo di un ben maggiore rischio di desemantizzazione del
messaggio.
Mi affretto a chiudere questa mia indebita e fugacissima
invasione dei territori dell’estetica con un omaggio a Silvio Ceccato, il famoso autore de La fabbrica del bello e
L’ingegneria della felicità[4].
Come questi preferisco qualificarmi e rimanere soltanto “un tecnico tra i filosofi”, anzi tra i linguisti e tra gli
psicologi.
[1] F.
A. Kittler, Gramophone,
Film, Typewriter.
[2] La macchina da scrivere di Nietzsche era quella a sfera (vedi foto nel cap. 4) inventata dal pastore danese Hansen, istruttore di sordomuti, che sapeva che la lingua dei segni è più veloce della manoscrittura. Sulla superficie della sfera ogni posizione è completamente identificabile, e quindi è possibile essere guidati soltanto dal proprio senso del tatto, cosa ben più difficile nel caso di tastiere piatte.
[3] Anche se le ruvide tracce lasciate dalla penna tradiscono la nudità dell’animo, tanto da far dire a Strauss di “vergognarsi della sua manoscrittura”.
[4] Da quest’ultimo libro (p. 25) riporto il celebre schema del ruscello, su cui avremo occasione di tornare: