MA 18 – Il fascino del “fascio(21.5.2007)

      

Da bambino, mentre mia madre provava i vestiti dalla sarta, io giocavo a raccogliere con una grossa calamita a ferro di cavallo gli spilli disseminati per terra. Ricordo anche, abbastanza nitidamente, le sbarrette magnetiche bicolori, che probabilmente costituivano suppellettile scolastica (alle medie o al liceo), che andavano “custodite” in coppie parallele e coi poli incrociati.

Circa 10 anni fa, nel corso dei miei studi di telegrafia, probabilmente colpito dalla conferenza sul magnetismo di Hughes – il “principe dei telegrafisti”, inventore dell’elettromagnete che ho decantato ne “Il cronoscopio di Hipp”, del microfono (vedi LU 17) e del telegrafo stampante – riportata nel Telegrafista del 1883, mi sono documentato a fondo su questo autore e su questo affascinante e negletto capitolo di storia della scienza.

Ho scoperto così, tra l’infinità di punti oscuri che tuttora avvolgono l’argomento (o che, quanto meno, appaiono tali a un semplice elettrotecnico come chi scrive), gli studi “apocrifi”, rimossi per chissà quali “ragion di Stato” scientifiche (vedi anche MA 1), dei vari Hughes, Du Moncel, De La Rive, Jamin, Villari, Marianini e di molti altri “artigiani” della scienza, che hanno avuto il solo torto di occuparsi di cose concrete e, soprattutto, di descriverle con chiarezza e umiltà.

Intendo dire, con Ronchi, che i veri progressi della scienza, in generale, non sono dovuti a chi se ne accaparra il merito, ma alle maestranze che conoscono e tramandano i segreti delle loro “arti”: la “conduzione” magnetica, la limatura che si “acciuffa” e si muove, la “pigrizia” dell’acciaio, la virtù “ritenitiva”, i metodi di magnetizzazione (strisciate consecutive, unidirezionali e rigorosamente sincrone), le imprevedibili inversioni di polarità, la “debilitazione” dei magneti “disarmati”, ecc.

Dopo questa introduzione, anche troppo lunga, vengo al concreto e cioè all’argomento di questa News: i “fasci magnetici” (foto a sinistra, dal liceo Foscarini, dove anche Magrini operò).

Un anno fa, occupandomi di “calamite scintillanti” (vedi su Google) e del “Tavolo Gaeta”, forse abbagliato da una qualche “analogia elastica” applicabile al magnetismo, volevo costruirmi un potente fascio magnetico assemblando alcune calamite. La prima sorpresa fu che le sbarrette magnetiche di cui avevo memoria non sono più in commercio, né nelle cartolerie, né presso le ditte di sussidi didattici, né dai ferramenta. Comunque, dopo molta fatica, trovai qualcosa in un fondo di magazzino e comprai una decina di piccoli, dozzinali e soprattutto “scalamitati” magneti a ferro di cavallo (foto a destra), abusando della pazienza del commesso che me li fece scegliere tra quelli aventi, grosso modo, la maggiore e la stessa forza magnetica.

Ingenuamente pensavo che affastellando poli omonimi, diciamo “a fisarmonica”, si doveva vincere sì una certa “repulsione” che, come accennato, credevo “elastica”, come una molla da comprimere, ma ottenendo in cambio il cercato aumento della forza “portativa” del fascio. Mi attendeva però una seconda, e ben più grave sorpresa, e cioè che mentre l’“attrazione” magnetica, come desumevo dal tavolo Gaeta, era in qualche modo assimilabile ad una forza elastica, la “ripulsione” (più che “repulsione”) era invece cosa alquanto diversa, più sottile e, soprattutto, più “sfuggente” (o meglio “rifuggente”) del “respingimento” di una molla.

Nella prossima News, introducendo la distinzione tra fascio e magazzino magnetico, forse potremo fare un po’ più chiarezza su questi fenomeni.

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