81 – Il fonografo a mano e a piede

          

 

Proseguendo le News sul fonografo di Edison a integrazione o chiarimento delle osservazioni centrali pubblicate in AG 16 (L’iposema di Lucidi) ecco alcune immagini e alcune considerazioni sull’uso o “servizio da studio” dell’apparecchio (vedi Note illustrative sul fonografo, ultima pagina).

Mentre i grammofoni si svilupparono enormemente per la musica, i fonografi furono usati principalmente (e fino a circa il 1930) per la parola, come dittafoni o macchine per dettare – macchine, si badi, reversibili. Gli “operatori fonografici”, dopo aver raschiato o “piallato” i cilindri di cera già usati, per farne letteralmente tabula rasa, vi dettavano, per esempio, lettere commerciali o articoli di giornali che poi i loro colleghi “trascrittori” riportavano sulla macchina da scrivere (immagine a destra). Seguendo la massima “un buon dettatore fa un buon trascrittore”, in fase di registrazione, nei momenti in cui si “raccoglieva il pensiero”, si alzava la leva per fermare la macchina e la si riabbassava una volta “trovata la parola”. Chi invece trascriveva era un copista che seguiva ciecamente le parole del dettato, senza curarsi del significato. Se era qualcuno alle prime armi o, come si diceva, “renitente all’ascoltazione”, doveva raccogliere una quindicina di parole, poi fermava il fonografo, le batteva sulla typewriter e indi continuava.

Verso la fine dell’800, venivano commercializzate queste versioni del fonografo:

1.    fonografo a mano (portatile)

2.    fonografo a pedale

3.    fonografo a motore ad orologeria (a molla o a peso)

4.    fonografo a motore idraulico (attaccato alla rete idrica)

5.    fonografo a motore elettrico (alimentato dalla rete elettrica pubblica)

6.    fonografo a motore elettrico (alimentato dalle pile voltaiche)

7.    fonografo a motore elettrico (alimentato da accumulatori o pile secondarie)

La costanza della velocità era imprescindibile solo per l’uso musicale della macchina, a cominciare dai fonografi esposti nelle fiere (tipo juke box, per intenderci), invece per le parole non solo non erano necessari motori, ma anzi era preferibile, si badi molto bene, l’azionamento a mano o “a piede”, quest’ultimo addirittura “più comodo” (Note citate).

Ciò si capisce bene da come il Du Moncelmaneggiava” il fonografo (disegno a sinistra). A differenza che nel caso del Preece (vedi Lucidi News 61) qui sembra rispettata la coordinazione tra i movimenti della mano (destra) che aziona la manovella e i movimenti della laringe che parla dentro, anzi “toccando” l’imbuto.

Il fonografo era una vera e propria “scrittura a mano fatta con la bocca”, a velocità grafica, cioè molto bassa e con pause inframmezzate. Come nella manoscrittura man mano che si scrive bisogna spostare il foglio di carta (rispetto alla penna scrivente) con la mano (la stessa che tiene la penna o l’altra, come fanno alcuni stenografi e alcuni popoli), così nel fonografo bisognava spostare con la mano il foglio di stagnola rispetto allo stilo parlante (indenting, vedi AG 16).

Le due foto di chiusura rappresentano il modello di fonografo cosiddetto “portatile”, da azionare appunto a mano, e la vecchia macchina da cucire in cui l’operatore coordina i movimenti di entrambe le mani, nonché quelli degli occhi e, in qualche caso, anche quelli dei piedi.

 

       

  

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