GA 44 – Telefono e telegrafo combinati (16.3.2006)

 

Circa 40 anni dopo l’invenzione del telefono di Bell (vedi LU 2) l’americano Patrick B. Delany ideò il sistema di telefonia e telegrafia abbinati (brevetti n. 1137193 e 1274520, rispettivamente del 1915 e del 1918, vedi US Patent Office) sommariamente descritto in questa News. Ma prima di andare avanti mi si consenta una osservazione di indole generale.

Anche se le considerazioni che seguono sono del tutto elementari ho l’ardire di ritenere che ben pochi saranno in grado di capirle “appieno”, anche tra gli storici della fisica o delle telecomunicazioni, e persino tra coloro che avessero avuto la ventura di leggere tutti i miei scritti. Non mi si fraintenda: non mi ritengo un sapientone, né ancor meno un “genio”, solo che le conoscenze da me acquisite per almeno un decennio tra i libri e le riviste tecniche conservati, per esempio, nella biblioteca del Ministero delle Comunicazioni è ben difficile che altri, almeno in Italia, le abbiano. Questo perché nelle nostre università, per quel che ne so, manca un insegnamento specifico sulla storia, anzi lo “sviluppo tecnico”, soprattutto ottocentesco, della telegrafia e della telefonia. E aggiungo che invece questo studio, oltre a conservare quelle conoscenze che, come lamentava Pierpont, vanno a finire alle ortiche, formerebbe la mente dei nostri giovani ben di più di ponderosi trattati pieni di formulacce e di scarsa o nulla applicazione pratica.

Nella fattispecie, per tornare al Delany, sarebbe quanto mai opportuno che il lettore si rinfrescasse almeno le idee sulla trasmissione Morse nei circuiti telefonici (vedi LU 19), sulla “lotta all’induzione”, sul sounder ronzatore (vedi LU 34), sulle suonerie, anche a un sol colpo (vedi MO 113), sul microfono, ecc. Il sistema consiste in un trasmettitore telegrafico inserito dentro un cilindro di legno del diametro di circa 15 cm (foto a destra) su cui poggia – semplicemente, senza nessuna connessione elettrica – un normale telefono, del tipo “a candela” (foto a sinistra). I due apparati si possono usare indipendentemente, e anche simultaneamente, per trasmettere parole, parlando al microfono (a carbone) dell’apparecchio telefonico, e segnali Morse, manipolando il pomello (di un normale tasto) all’esterno della base cilindrica. C’è qualche incertezza sull’utilità di questo strano abbinamento: si potrebbe pensare che il Morse poteva usarsi per motivi di riservatezza, ma a quei tempi, nota giustamente Perera, dal cui ricchissimo catalogo provengono le due foto, il Morse lo conoscevano tutti… Quello che però è certo è che questo sistema è molto utile didatticamente, in particolare per suffragare e sedimentare i concetti della mia telelinguistica.

Sul coperchio di quella specie di tamburino che è il “trasmettitore” Morse, e più esattamente sulla vite centrale ben visibile nella foto, vengono battuti (dall’interno) dei colpi corrispondenti ai segnali Morse prodotti con il maneggio del tasto (vedi schema al centro). Si può scegliere se usare un Morse, diciamo “marconiano”, a note “sostenute”, facendo lavorare l’elettromagnete a “trembleur”, come un ronzatore o “buzzer”; o il Morse tradizionale a colpi isolati (Morse americano, o dei “capistazione”, vedi MO 3), escludendo (cortocircuitando, tramite la levetta S) il contatto automatico e facendo sì che l’armatura dell’elettromagnete risponda senza autovibrazioni (unbrokenly) ai movimenti del tasto. E ci sarebbe anche una terza alternativa, ancora più pratica, depositata sempre da Delany, di eliminare del tutto l’elettromagnete e usare un tasto unicamente meccanico (vedi MO 28). Il primo stile di manipolazione, osserva l’inventore, sarebbe adatto agli operatori radiotelegrafici (TSF), gli altri due ai veterani del Morse.

Questi click sonori arriverebbero anche per via aerea al “microfono del telefono” (questa espressione oggi ha un senso, ma dal punto di vista squisitamente tecnico è impropria perché il “telefono” era cosa ben diversa dal “microfono”) e sarebbero perciò uditi all’altro capo del filo. Per aumentare però la nitidezza dei segnali era opportuno poggiare il telefono sul “tamburino” in modo che i suoni si potessero trasmettere anche per via unicamente meccanica, attraverso il supporto (colonna o “candela”) del telefono. Per migliorare questo “accoppiamento” meccanico-acustico al centro della base di supporto c’era un’altra vite che veniva a toccare quella del “tamburino”. A quest’ultima i segnali pervenivano, sempre meccanicamente, dal telaietto dell’elettromagnete attraverso una prolunga sotto pressione.

Vediamo ora più in dettaglio come, in questo “signal maker elettromeccanico” convertito da buzzer a sounder, erano prodotti i colpi isolati, cioè i punti e le linee del Morse americano. Questi due segnali, come da tempo la telelinguistica ha assodato, differiscono non tanto per la durata ma per la natura del colpo sonoro: suono determinato per i punti, suono indeterminato per le linee. Ora, se questa discriminazione riusciva elementare nei normali circuiti telegrafici e coi normali sounder, in telefonia poteva essere alquanto problematica e dar luogo a errori di ricezione. Delany si preoccupò quindi di differenziare il più possibile il colpo “di lettura” (reading stroke) o di andata (down stroke) del sounder dal colpo di ritorno (back stroke). Il primo rimase il classico colpo di martello (della leva o armatura) sull’incudine costituita dal nucleo dell’elettromagnete (con interposto un distanziatore non ferromagnetico per prevenire i noti fenomeni di sticking), il secondo invece lo attutì molto usando un finecorsa più soft (yielding, cedevole).

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