DA 34 – I “mandamenti” di Termini (13.6.2013)

Il Catanzaro, commentando la Relazione Nugnes (p. 41-43), non riesce a capacitarsi dell’ubicazione della piazza Botteghelle, lì inequivocabilmente citata, sulla quale si affacciava la bottega dell’erborista, con annessa icona miracolosa, negozio che invece lui “colloca” nell’attuale via Mulè, in corrispondenza, per capirci, del “muro miracoloso” (vedi DA 30). Per uscire dall’impasse opina che all’epoca la toponomastica era alquanto aleatoria e, per così dire, un optional.

Io credo che non si tratti di un problema di toponomastica, ma, più radicalmente, di topografia. Vero è che la mappa di Daidone mostra l’urbanizzazione della zona Botteghelle “grosso modo” uguale a quella attuale, ma c’è da considerare che il rilevamento del grande cartografo risale al 1720, mentre, per quello che ne so, non abbiamo “mappe” di Termini (tanto meno di Termini bassa!) del 1553. Abbiamo però la testimonianza del Solito secondo cui nel ‘600, nella Scilba o “selva dei Cioffo” (vecchie denominazioni dell’area in questione, che poi sarà nota come “rucchiceddi-putieddi” – vedi mappa), si facevano “nuove fabbriche di casi” e, durante gli scavi, si rinvenivano anche “fabbriche sotterranee” (vedi PO 18 e PO 23), cioè, guarda caso, come accadrà nel 1958 in via Mulè sotto la bottega dell’erborista (vedi DA 26).

Nel bel volume “Termini Imerese città termale” di A. Formusa (Palermo, 2000), dove è riportata la mappa del Castiglia del 1836 (però non quella ben nota, a colori, ma quella più “topografica” qui riportata [con mie integrazioni], con dettagliate indicazioni di vie, porte e palazzi) si legge: “nel 1571 si costruì una nuova cinta muraria [rispetto a quella di epoca romana], forse in alcuni tratti già iniziata nel 1438, e questa nuova cinta racchiuse, oltre che tutte le zone nuove, anche molti spazi verdi coltivati” (p. 67); “nel periodo che va dal 1511 al 1563 in alcuni atti notarili vengono menzionate le quattro suddivisioni della città, tra cui la parte bassa formata dal quartiere putieddi (commercio-scambio), che doveva addensarsi attorno ad una strada, oggi Porta Erculea (o Strada Putieddi), che assieme alla via Errante e alla via Diaz, doveva fungere da asse principale, collegando Porta Girgenti con Porta Erculea (o Felice), cioè l’entroterra con il mare” (p. 68); “questo asse viario assunse il ruolo di grande via commerciale tra le due parti urbane, la città alta e la città bassa, diventando asse portante per l’attività economica della città” (p. 67). Per chiarezza ho indicato la zona dei rucchiceddi (cerchio verde) e quella limitrofa dei putieddi (cerchio arancione) e ho tracciato in rosso il citato asse viario principale, e in blu l’altro asse principale, tra Porta Palermo e Porta Messina, le quali direttrici, secondo l’architetto Castiglia, dividevano Termini, un po’ come Palermo, in quattro “mandamenti”.

Osservando attentamente la mappa del Castiglia da me ritoccata si riconoscerà facilmente che i “Quattro Canti” termitani sarebbero proprio dove c’è il Santuario della Consolazione, all’incrocio tra via Porta Erculea e via Mulè (la quale fa parte dell’asse viario blu, comprendente il celebre “caricatore” e la celeberrima “via Roma”) e inoltre, tenendo conto che è capovolta rispetto, per esempio, al quadro del Toma (vedi DA 20), si “vedrà” altrettanto facilmente che “grosso modo” il “mandamento” superiore – il grande triangolo con vertici Porta Erculea, Consolazione, Porta Messina – nel 1200 d.C. era tutto mare e nel 1600 d. C. quasi tutto una landa o “Scilba” disabitata (vedi DA 8L’alluvione inversa).

Mi lusingo di credere che questa mia ricostruzione topografica risolva brillantemente le legittime perplessità del Catanzaro sull’ubicazione della piazza Botteghelle (putieddi), della “putia” dell’erborista, del quadro della Vergine, del muro miracoloso e delle tre successive planimetrie della Parrocchia della Consolazione. Poiché, senza alcun dubbio, l’asse viario “blu” è cronologicamente successivo a quello “rosso”, la bottega e l’immagine miracolosa si affacciavano non su via Mulè, che nel ‘500 non esisteva, ma sulla citata “selva dei Cioffo”, la primitiva piazza Botteghelle (in leggera pendenza), che si animava (parzialmente) solo nelle ore di mercato.

A questo punto, non disponendo ancora né del manoscritto Nugnez né della originaria mappa della chiesa (vedi DA 31), possiamo solo lavorare di fantasia. Per quarant’anni (1553-1591) la prima chiesetta alterò poco l’equilibrio topografico del quartiere: il flusso pedonale dalla via Errante (asse rosso) rimase invariato, mentre quello dei vicoli dei rucchiceddi (che successivamente sarà incanalato nell’asse blu della via Roma) doveva passare davanti alla chiesetta, lungo quella che Catanzaro chiama “la prosecuzione della via Salia”, facendo solo una piccola deviazione rispetto al tragitto primitivo. Quando si decise di ingrandire la chiesa si scartò subito la soluzione più logica e cioè di edificare il santuario della topografia attuale, perché lo scenografico ingresso sarebbe stato rivolto, come abbiamo già ribadito, verso una zona disabitata o addirittura indecorosa. Si optò quindi per una chiesa a croce greca, con ingresso sulla trafficatissima via Porta Erculea (vedi DA 31). Questa soluzione creava però due problemi, l’occupazione della via Salia e la posizione defilata della cappella della Vergine: il primo fu risolto abbattendo la casa e la bottega dell’erborista e aprendo al loro posto una nuova strada, la via Mulè appunto, per il transito dai “rucchiceddi” e dal centro della città alta (asse blu); il secondo con la traslazione, come sappiamo fallita, dell’immagine miracolosa.

Per obbedire al volere della Madonna si dovette giocoforza lasciare l’icona nel suo proprio luogo e tornare al progetto inizialmente scartato, cioè al Santuario com’è attualmente. E quando questo fu completato, ben due secoli dopo il miracolo, la situazione demografica e urbanistica delle Botteghelle era completamente mutata: lo scenografico scalone di ingresso della Consolazione dava in una piazza Botteghelle più piccola (attuale piazza Liborio Arrigo), ma di certo più dignitosa e più consona alla “Divina Vergine delle Terme di Imera”.

 

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