Nella
prima presentazione radiofonica degli audiogiochi (17.4.89) accennai alla loro
particolare capacità di coinvolgimento, specialmente se attuati via
radiostereo. Per chiarire questa sorta di "illusione interattiva" del
nuovo medium e soprattutto per valutarne l'importanza sociale bisogna fare
alcune preliminari considerazioni sui mass media in generale.
Per
non perderci nella "galassia McLuhan" discriminiamo gli strumenti del
comunicare solo in base alla loro alfanumericità,
un parametro certamente oggettivo, essendo legato, nella teoria
dell'informazione, alla ridondanza e alla velocità di trasmissione dei segnali.
Alcuni nuovi media telematici (trasmissione dati, network delle agenzie di
stampa, teletex, ecc.) sono strettamente alfanumerici (o digitali) e quindi estremamente funzionali; i media classici
(cinema, radio, televisione, telefono, ecc.) sono invece analogici e tecnicamente ridondanti. È bene insistere su
questa basilare distinzione perché la sempre più diffusa conversione
analogico/digitale, equiparando le rispettive tecniche, può far sbiadire anche le
differenze semantiche, di feeling,
tra i due modi o livelli della comunicazione.
Davanti
al televisore, o ascoltando la radio, siamo sempre illusoriamente indotti, se
il programma ci appassiona, a considerarlo in tempo reale e addirittura dal
vivo, come ad esempio nel caso delle canzoni in playback.
Questo
fenomeno della "live-illusione"
è però esclusivo dei media/messaggi analogici, perché quelli alfanumerici né
coinvolgono, né ci fanno sognare,
come prova l'atteggiamento di distacco verso la stampa senza illustrazioni (o
impaginazione), l'informazione cruda e in genere ciò che sa di codice.
Una
notizia sullo schermo del televideo, anche trasmessa in tempo reale, ha un
impatto ben diverso se ascoltata dallo speaker TV, magari registrata su
videocassetta. Percepiamo la prima freddamente e la seconda vivamente, come
bambini affascinati da un'aura di magia, e dimentichiamo che entrambi i media sono appunto
solo strumenti, trovati tecnici per la comunicazione, e che i messaggi, anche
se real time, sono sempre e soltanto riproduzioni.
La
"magia dell'analogico"
così intesa corre il rischio di apparire ormai surclassata dalle meraviglie dell'informatica
e dell'elettronica digitale, oltre a quello, insidioso e non prevenibile, di
essere recepita come luogo comune. Tuttavia le prestazioni di un terminale, il
rapido ritrovamento delle informazioni, l'interazione uomo/computer sono certo
cose "magiche", però si tratta di magia sui generis, solo elettronica, che non ci incanta e della cui realtà, a
differenza dell'altra, restiamo sempre consapevoli.
I
media didattici analogici (laboratori linguistici più o meno sofisticati e
videocassette) hanno grande potenziale di coinvolgimento, ma gli alunni
rimangono "passivi di fronte alle immagini" (Piaget) perché "frustrati nel desiderio di rispondere
ai molti stimoli che ricevono" (Escarpit);
i media informatici invece permettono di rispondere, ma, essendo alfanumerici,
non stimolano l'immaginazione, né sono adatti alla lingua orale. Soltanto gli
audiogiochi, sfruttando i pregi del computer e del laboratorio linguistico
(vedi descrizione dell'invenzione), sono il medium, il sussidio ideale per lo studio delle lingue: durante le
fasi di lezione offrono molti stimoli ai ragazzi, li coinvolgono, li
appassionano (purché il software analogico sia ben confezionato!) e durante le
fasi interattive rinforzano sia questo feeling,
sia l'illusione di essere essi stessi "dentro" al programma. La magia
degli audiogiochi (e, in futuro, della radio
e della TV interattiva) fa
proficuamente dimenticare la loro natura di strumenti, di protesi.