Le opere edite ed inedite disperse

 

Grosso modo tra i 16 e i 25 anni, dal 1870 al 1879, Gabriele si occupò di politica, letteratura e giornalismo [Buccola 11] in pubblicazioni varie: La Gazzetta di Palermo, Il Giornale di Sicilia, Il Momento, Il Giovin pensiero, Il libero pensiero, Pensiero e Arte e soprattutto nei suoi Atomi. Possediamo pochissimi di questi articoli - per lo più salvati dalla lungimiranza del Guardione -, molti sono del tutto perduti, di alcuni ci rimangono solo i titoli [v. 43, 44, 46, 47, 48] . Il loro recupero è molto difficile sia per la vita effimera della maggior parte delle riviste citate, quasi mai entrate e ancor meno conservate nelle biblioteche, sia perché in esse il nome di Buccola non compare mai. Addirittura, anche se può apparire strano, negli stessi 11 numeri de Gli Atomi, in nessun punto, c’è alcuna traccia che possa far risalire a Buccola. La spiegazione di tanta modestia la troviamo in una lettera del 14 maggio 1879 nella quale Gabriele confida ad una certa Emilia, probabilmente una parente, che dopo avere vanamente atteso con trepidazione le risposte dei vari Mantegazza, Villari, Canestrini, Gabelli, Herzen, Angiulli, ecc. a cui aveva mandato l’opuscolo sull’eredità [51], col quale per la prima volta presentava il suo nome al tribunale dell’opinione pubblica, finalmente gli era arrivata la risposta del Trezza, così lusinghiera da superare ogni aspettativa[1]. Gli amici avrebbero voluto pubblicarla immediatamente, ma lui rifiutò di farsi réclame con una lettera confidenziale.

Ma oltre e più che gli scritti letterari editi senza firma, occorre “riacquistare alla scienza i molti preziosi scritti scientifici inediti che, alla morte di Gabriele, la famiglia ebbe di pieno diritto, ma che senza alcun diritto di umanità o per falso sentimento di proprietà parentale ha tenuto gelosamente nascosti”, malgrado il Morselli, nel luogo citato, si sia dichiarato disposto [201; SB, p. 226] o abbia anche  promesso [188, 203] di pubblicarli e trarli dall’oscurità.

Le parole precedenti lasciano supporre dei contrasti tra Morselli e i familiari di Buccola, contrasti però esclusi o ignorati da quei discendenti di Buccola con cui finora mi sono potuto mettere in contatto e avvalorati soltanto, allo stato, da dicerie di paese (vedi sezione successiva). Le cose certe invece sono che Buccola non fece testamento; che Paolo Buccola, che da Torino riportò in Sicilia tutto quanto era appartenuto al fratello[2], non era un medico, come riferisce Di Miceli [126], ma un benestante che amava godersi la vita e pertanto assolutamente non in grado di capire il valore delle carte di Gabriele; e infine, e forse soprattutto, che neanche Morselli, lo scienziato che più aveva lavorato a contatto con Buccola, lo apprezzava nel giusto valore viste le riserve avanzate appena un anno dopo la morte di Buccola su alcuni punti chiave delle vedute del suo “discepolo e maestro” [189].

Circa tre anni fa, interessandomi vivamente a Buccola (per motivi che sarebbe fuori luogo discutere in questa sede), leggendo Bruno [111], appresi con compiacimento che, almeno nel 1957, questo autore era in possesso degli inediti del Nostro e forse li aveva pubblicati. Mi misi così in contatto col Dott. Domenico Vittorio Bruno, medico alle soglie della pensione, saggista e romanziere prolifico, abbastanza noto a Palermo anche come presidente del Centro di cultura siciliana “G. Pitrè”. Questi, cortesemente, mi disse che si, quarant’anni prima, aveva lavorato, ed anche molto, su Buccola, ma che poi, per motivi sopraggiunti (forse anche finanziari), dovette rinunciare alla pubblicazione sia degli inediti sia di un corposo (oltre 500 pagine) suo lavoro sul Buccola. Mi promise poi che avrebbe tentato, compatibilmente con i suoi impegni, di rintracciare quei manoscritti dimenticati e di mostrarmeli quando fossi andato a Palermo.

Durante i miei recenti soggiorni in Sicilia, in genere un paio di settimane all’anno, in primavera e a Natale, sono andato a trovare il Dott. Bruno e, insieme alla sua segretaria, abbiamo cercato in più posti. Finora sono saltate fuori due polverose cartelle, una contenente i manoscritti di alcune opere edite di Buccola (La legge del tempo, La dottrina dell’eredità, La rassegna di psicologia, ecc.), alcune lettere, dei documenti e parecchi fogli dattiloscritti del libro a cui stava lavorando il Bruno; l’altra invece, intitolata “Scarti”, con centinaia di appunti manoscritti, nella chiara e minuta calligrafia del Buccola, relativi, per lo più, ad appunti universitari. Il Dott. Bruno crede di ricordare un terzo faldone, in cui egli a suo tempo (verso il 1957) aveva ordinato e selezionato le carte inedite, con l’intenzione di pubblicarle o depositarle alla Biblioteca Comunale, ma questa cartella, che forse potrebbe essere preziosa[3], come ho detto, finora non si è trovata. La segretaria, da parte sua, dice di ricordare, sia pur vagamente, di aver portato tanti anni fa un plico relativo a Buccola alla Biblioteca Comunale[4]; e il Bruno, sinceramente contrariato dai suoi vuoti di memoria, non esclude nemmeno che possa aver restituito quel materiale alla proprietaria Antonina Buccola che qualche anno prima glielo aveva affidato per studio e in cessione.

Da Guardione [127] sappiamo che Donna Antonina Buccola aveva già donato alla Biblioteca Comunale i libri dello zio e una consistente raccolta di lettere; poi, invecchiando e non avendo eredi diretti, avrà accettato di affidare a qualcuno, più competente, cioè al Bruno, anche i manoscritti in suo possesso. Per quanto riguarda altri suoi beni, e in particolare lo stesso ricco palazzo in cui, da sola o con qualche dama di compagnia, ha abitato fino alla morte (verso il 1960), la Buccola aveva pensato bene di donarli all’allora Cardinale di Palermo Ernesto Ruffini. Aggiungo, per completezza di cronaca e perché il fatto potrebbe avere qualche indiretta utilità nella ricerca dei manoscritti di cui ci stiamo occupando, che dopo qualche tempo, con la Buccola ancora in vita e ridotta in miseria, alcuni suoi nipoti che vantavano diritti sul patrimonio di famiglia impugnarono la donazione e vinsero una causa contro la Curia. E mi è stato anche riferito che il libro del Guardione (SB) fu acquisito agli atti del processo, come prova di non so quale stato di rapporti tra gli eredi Buccola.

Naturalmente ho fatto ricerche alla Biblioteca Comunale (abusando della squisita cortesia del Dott. Pedone), in Curia ed in altre Biblioteche di Palermo, ma senza successo. La Dott. Mariella Gagliano, nipote del Guardione, il Prof. Franco Barcia, Franco Cammarata e, soprattutto, la famiglia Aragona, tutti discendenti di Buccola, ai quali vanno i miei ringraziamenti, mi hanno invece trovato e fornito qualcosina: delle lettere o vecchi articoli di giornale, piccoli tasselli magari non importanti, ma ugualmente preziosi per ricostruire la storia affascinante di Gabriele Buccola. Sono convinto che continuando a cercare, magari con l’aiuto di Università o altri Enti, nelle direzioni suggerite nell’“Agenda” di AG, 1, con un po' di fortuna, si troverà dell’altro, perché la produzione di Buccola è stata maggiore di quanto attualmente possediamo.

A proposito del Dott. Bruno, per concludere questa sezione, rimane invece, credo di poter dire, un doppio rammarico: quello del grande libro sfortunatamente abortito negli anni cinquanta, libro che - specie dopo l’interesse suscitato nel Ponzo e nel Gemelli dai saggi [110] e [111] - avrebbe fatto del Bruno il secondo “Guardione” del Buccola e avrebbe reso un grande servizio alla scienza[5]; eppoi il mancato invito al Convegno buccoliano del 1986, al quale il Bruno, forte dei suoi ricordi sicuramente meno sbiaditi, avrebbe potuto portare un contributo rilevante e forse anche qualche ritrovato manoscritto inedito[6].

 



[1]Non conosco la lettera del Trezza, probabilmente conservata in [127], tuttavia credo che Buccola, nella sua ingenuità [v. Seppilli 274], sopravvaluti il giudizio dell’illustre letterato.

[2]In particolare la libreria, di cui una parte, dopo essere stata custodita nei primi decenni del secolo da Antonina Buccola, figlia di don Paolino, nel palazzo di famiglia in via Lincoln a Palermo, è stata donata alla Biblioteca Comunale, dove ne costituisce il Fondo Buccola; e un’altra dovrebbe essere stata donata a suo tempo alla Cattedrale (greca?) di Mezzojuso.

[3]Devo avvertire, però, che dai riferimenti e dagli ampi stralci che il Bruno ne pubblica in [110, 111] non credo che i manoscritti in questione possano essere quelli di cui si fa cenno in Morselli [188].

[4]E di averlo consegnato personalmente nelle mani di una funzionaria alta, magra e anziana.

[5]Un brevissimo paragrafo estratto dagli appunti preparatori di tale libro si può leggere nella sezione seguente.

[6]Il Bruno non era neanche a conoscenza del Convegno del 1986. Credo poi che l’omissione dell’invito non sia giustificabile perché a Palermo si doveva pur sapere che lui, benché fuori dalla cerchia accademica, aveva scritto almeno due importanti saggi [110, 111] su Buccola.