Notizie autobiografiche di Buccola
Francesco
Paresce [203],
vent’anni dopo la morte dell’amico, si poneva questa domanda: Il
libro che dica agli italiani l’anima e il pensiero di Gabriele Buccola lo
scriverà mai qualcuno? Io mi auguro di si, ma è un fatto che finora nessuno
l’ha scritto. Molti (Morselli, Tamburini, Herzen, lo stesso
Paresce, ecc.) avranno
con tutta probabilità cercato di farlo, ma tutti i tentativi, a mio giudizio[1],
sono abortiti perché padroneggiare la figura di Buccola era, e a maggior
ragione lo è ancor oggi, troppo difficile. Chi conosceva la sua attività o chi
ne leggeva gli scritti non poteva che restare sbalordito e intimidito del suo
sapere, che traspare anche dall’enorme numero di autori, soprattutto stranieri,
citati nelle sue opere[2].
Già
adolescente trovava nel seminario greco di Palermo le condizioni più adatte per
saturarsi di cultura classica. Il greco e il latino, come ricordano Bruno e Guardione, divennero
nella sua mente lingua viva tanto da poetare in entrambi gli idiomi con
sorprendente facilità. “Spinto sempre più dalla brama di sapere, mi misi a
studiare, riflettere, pensare e meditare tanto da averne logora la salute.
Guarito, ripresi, anzi rinnovai gli studi, ma stavolta lavorando con maggior
calma in un campo più largo ed esteso, e demolendo ad uno ad uno, con costanza
da bue e pazienza da asino, tutti i pregiudizi che riuscivo a scoprire nel mio
cervello” [Buccola, 11]. Come si
evince anche dalla importante lettera seguente, egli non riuscì a trovare
maestri all’altezza del suo ingegno e così, precursore ed eroe della scienza,
combatté da autodidatta le sue battaglie in nome del sapere e del progresso.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare non si laureò col massimo dei
voti ma con 29/36. Il certificato di laurea in Medicina e Chirurgia porta la
data dell’11 luglio 1879 ed è firmato da Pietro
Cervello,
Santi Sirena,
Coppola,
Albanese,
Federici
ed altri.
Di
Buccola abbiamo alcune biografie, un paio scritte alla sua morte, altre molti
anni dopo, ma tutte, sia per la difficoltà di renderne l’immagine di
scienziato, sia per il sincero ed enorme cordoglio suscitato dalla immatura
fine dell’amico e del maestro, sono parziali, distorte, piene di errori, poetizzate. Un lavoro scientifico su
Gabriele Buccola però si è ancora in tempo a realizzarlo, perché i documenti ci
sono, si tratta solo di recuperarli ed utilizzarli (vedi AG 1).
Lettera di Gabriele Buccola in
risposta a quella inviatagli il 25 giugno 1879
da Enrico Morselli,
giovanissimo direttore del Manicomio di Macerata[3]
Palermo, 29 Giugno 1879
Mio egregio e caro
amico,
la sua[4] lettera cortese ed affettuosa à prodotto
così viva impressione nell’animo mio che reputo oramai grande onore per me
l’essermi legato in amicizia con Lei, che all’alto ingegno accoppia una
squisita bontà di cuore. Io la ringrazio delle parole benevole e dei consigli
che Ella mi indirizza: sento di non meritare tutte le sue lodi, ma godo
grandemente che le idee da me professate trovino un’eco simpatica nelle sue.
Noi siamo, è vero, coetanei; ma qual
differenza! Ò ventiquattro anni[5] sulle spalle e fra un mese esco
dall’Università col titolo di Dottore. Mi accorgo però di non possedere che uno
scarso corredo di studi, sebbene siano stati fatti da me solo e senza aiuto di
sorta, poiché qui in Palermo la vita scientifica è troppo povera cosa, ed è
miracolo se qualche giovane volenteroso di apprendere riesca ad interpretare le
grandi idee della scienza. L’Università per me è stata un doloroso
pellegrinaggio: avrei buona tendenza a coltivare gli studi fisio-psicologici,
ed in sei anni di tirocinio non ò avuto la fortuna di trovare un maestro di
fisiologia che mi avesse bene indirizzato in questa via di ricerche feconde. Ed
ecco il moto principale che sento dentro di me: la mancanza di conoscenze
fisiologiche, le quali per la loro alta importanza debbono essere la base salda
ed incrollabile della moderna psicologia. Io cercherò di rimediare in parte a
questo grave inconveniente appena sia liberato dalle pastoie e dalle pedanterie
della scuola, e non vedo altro mezzo che quello di condurmi nel continente.
Mi conforta per ora il pensiero[6]...
Le poche idee esposte nel mio povero
lavoro in forma che è parsa un poco elevata (?) ... stile ardito...,
all’odierno movimento scientifico ... è almeno il giudizio di molti uomini
illustri che benevolmente mi hanno incoraggiato a continuare negli studi
applaudito, e mi piace che anche Lei convenga nella stessa opinione, sebbene
dubiti un pochino della mia sicilianità. Io son siciliano, e propriamente
siculo-albanese, appartenendo la mia famiglia ad una delle quattro colonie
albanesi che si stabilirono in Sicilia nel secolo decimoquinto, conservando
tuttora i riti orientali ed in parte il dialetto. Non mi pento di aver
consacrato gran parte dei miei anni giovanili agli studi letterari, poiché
oggi, meglio di allora, mi accorgo quanto siano essi giovevoli alla coltura
scientifica.
I grandi concetti, che non siano vestiti
ed incarnati nella forma che ad essi si conviene, perdono tutta la loro
efficacia e fa vergogna vedere in molti dei libri che si intitolano libri di
scienza, decaduto quel senso estetico che è stato sempre gloria nostra.
Per ora non posso dirle se io intenda
dedicarmi alla psichiatria: comprendo che essa è la disciplina più feconda dei
nostri giorni, ma a quel tempio solenne non si accede senza una larga e
profonda preparazione. Mi vergogno a confessarle che delle malattie mentali
appena conosco il nome. La colpa forse non è tutta mia, perché qui non abbiamo
mai avuto insegnamento psichiatrico, oppure, quel che è peggio, dalla cattedra
di medicina legale, che dovrebbe essere insegnata dalla parola sapiente del carissimo
Tamassia, si parla di alienazione mentale con
tale grettezza di idee, con tale meschinità di vedute da fare pietà...
Ecco, mio caro amico, la mia povera
condizione. Ella già si è acquistata un nome autorevole nella scienza ed in età
giovanile, mercé l’elevatezza dell’ingegno e la severità degli studi. Io l’ò
conosciuta la prima volta in un lavoro sulla Neogenesi che lessi, or sono
parecchi anni, nell’Archivio per l’Antropologia e in quell’altro sui crani
siciliani, contro il quale, se ben ricordo, si rivolse la critica acerba del
prof. Randacio, cui invece toccava certamente l’obbligo
di incoraggiare un giovane di grandi speranze.
E di Lei ò sempre portato stima
vivissima, quantunque non abbia potuto leggere ed apprezzare tutti i suoi
lavori, ed in questa insperata occasione ( ... ) sento il dovere di
dimostrargliela con tutto l’animo.
Non posso mandarle nulla di cose mie, e
me ne duole grandemente: il mio primo lavoro è questo sulla dottrina
dell’eredità, perché qualche altro breve studio pubblicato ora in uno ora in
altro giornale non merita affatto la sua considerazione. Veda la mia miseria e
mi compatisca. Ma creda pure che facendo qualche cosa mi reputerò fortunato di
mandarla a Lei, cui serberò immensa gratitudine in ricambio della sua
affettuosa benevolenza.
Mi perdoni della lunga chiacchierata, mi
illumini co’ suoi consigli. Creda alla stima e alla devozione invariabile (?)
di chi ardisce chiamarsi
suo
aff.mo amico Gabriele
Buccola
Lettera di Gabriele Buccola al Ministro della Pubblica Istruzione
Torino,
15 settembre 1884 (circa)
In
data 17 luglio da Monaco di Baviera, dove ho compiuto gli studi di
perfezionamento, spedii in piego raccomandato a codesto ministero l’attestato
di frequenza alle lezioni di Clinica psichiatrica durante il semestre d’està
dell’anno corrente. Quel documento rilasciatomi dal prof. Gudden era anche accompagnato da una mia breve
relazione, nella quale, fra le altre cose, pregavo V.E. di ordinare con qualche
sollecitudine l’emissione del mandato di pagamento in mio favore presso la
Tesoreria di Torino.
Terminato
con il 31 luglio il semestre di studii, io ho lasciato Monaco e mi sono recato
in Torino, e fino a tutt’oggi non è giunto alla Tesoreria nessun mandato di
pagamento. Essendo ormai trascorso un mese e mezzo, mi permetto di pregare
efficacemente V. E. affinché sia sollecitato tale pagamento, il cui
ritardo mi ha cagionato e mi cagiona danno non lieve, tanto più che, per le
misure quarantenarie, non posso recarmi nel mio paese natale in Sicilia[7].
Attendo
pertanto fiducioso da V.E. la sollecita disposizione di pagamento a favore di
uno studioso che ha anche bisogno di vivere con il frutto della scienza.
devotissimo Gabriele
Buccola
[1]Questa
deroga alla linea editoriale dei miei Atomi, che ambiscono ad essere
contributi scientifici e duraturi,
scevri da ragionamenti e oscillazioni individuali, peraltro inevitabili agli
albori di una scienza, si giustifica ed anzi si rende necessaria per la natura
propedeutica, di spunto e di pungolo verso quel libro compiuto su Buccola di
cui qui si sta discorrendo.
[2]Della
vastità di cultura di Buccola abbiamo tale numero di testimonianze che non
occorrono rimandi specifici.
[3]La
lettera del Morselli si trova nel
carteggio [127] ed è parzialmente pubblicata in SB.
[4]Buccola
darà sempre del lei a Morselli, più anziano di lui di soli due anni.
[5]Veramente
Buccola, con certezza nato il 26 gennaio 1854, ha 25 anni e mezzo ed è
piuttosto strana questa sua distrazione o bugia. Sulla data di nascita di
Buccola molti autori, seguendo Seppilli
[275] (in realtà Morselli?), danno il 24
febbraio 1854, altri [Pogliano,
212] il 17 febbraio 1854 e il Pazzini
[303] addirittura il 1855, probabilmente ottenuto sottraendo dal 1885, anno
della morte, i 30 anni (arrotondati) di vita del Buccola.
[6]Le
lacune qui, come più avanti, sono dovute al fatto che trascrivo dalla minuta di
Buccola, che presenta alcune cancellature e frasi indecifrabili.
[7]Da
altre lettere di Buccola apprendiamo che in quegli anni c’erano delle epidemie
di colera. Per andare in Sicilia bisognava fermarsi in quarantena a Gaeta per qualche
settimana.