13 - Il mondo del filo

 

Incollo una mia traduzione - pedestre, letteralissima e provvisoria - di un interessantissimo racconto di un telegrafista americano trovato nel sito di McEwen.

Cerco qualcuno, molto esperto sia di telegrafia che di lingua inglese, che mi aiuti a farne una traduzione decorosa e pubblicabile.

È quasi inutile aggiungere che l’interesse di tale articolo, a mio giudizio, travalica, e di molto, l’ambito puramente telegrafico.

Grazie e cordiali saluti. Andrea Gaeta

 

Chiacchiere e chiacchieroni del telegrafo

Un vecchio telegrafista legge sul filo carattere umano ed emozioni

by  L.  C.  Hall  (from McClure's Magazine, January, 1902, pages 227-231)

 

Introduzione

Oltrepassi la soglia di una sala operativa di un ufficio telegrafico di una metropoli e ti trovi in un mondo meraviglioso dove è stato fatto molto che potrebbe ben suscitare stupore se il gergo lì usato fosse tradotto in frasi comprensibili. C’è gente che parla di megaohm, microfarad e milliampere; sbadatamente tocchi un pezzo di ottone e sei punto da un invisibile diavoletto; vedi un uomo che guarda fisso un impertinente piccolo strumento, passando oziosamente il tempo presso un bottone di gomma, e non appena lo strumento di ottone ha un po’ clicchettato lo vedi ridere come un idiota senza nessuna apparente ragione.

Perché il “telegrafese” è un vivo, palpitante linguaggio. Esso è un curioso tipo di Volapuk, una lingua universale, parlata attraverso la punta delle dita e nella maggior parte dei casi letta ad orecchio. Raramente il telegrafese si incontra nella sua forma scritta, o “Morse”, come esso è chiamato in gergo. Per gli iniziati però esso è un veicolo di espressione armonioso, sottile e fascinoso come lo stesso linguaggio musicale.

Niente potrebbe essere più semplice del suo alfabeto di punti e linee. Tuttavia è accaduto (?) che fuori della maniera di traduzione questo semplice codice si è evoluto in un mezzo per comunicare pensiero e sensazioni, mezzo che rivaleggia, per flessibilità e scopo, con la voce umana.

Una sera una grande sala era piena di gente, per lo più telegrafisti e loro amici. Sul palco c’erano una dozzina di uomini, alcuni tavoli con luccicanti apparati telegrafici, e alcune macchine scriventi di vario tipo. L’occasione era una gara di velocità, organizzata per assegnare record di trasmissione rapida.

 

1. Caratteri letti mediante punti e linee

I concorrenti vanno ad uno ad uno al tavolo del test e manipolano il tasto. Per tutta la sala c’è un’aria di calma tensione, rotta quando viene chiamato il “tempo” mediante un trillo di pulsazioni metalliche lette dalla maggior parte dell’uditorio come da una pagina scritta. Il testo del materiale non è rilevante, un estratto da un grande discorso, una pagina di versi sciolti, o soltanto le “istruzioni” prestampate in un modulo di telegramma. Quello che importa è solo la velocità e l’accuratezza. Quaranta, quarantacinque, cinquanta parole al minuto sono ticchettate con 750 movimenti del polso e ancora il limite non è raggiunto. I concorrenti mostrano gli stessi evidenti segni di sforzo che caratterizzano le gare fisiche più strenue: le narici dilatate, il respiro veloce o affannato, l’occhio strabuzzato (gli occhi di fuori).

Attualmente detiene il primato un giovane biondo, sicuro di sé e dai gesti misurati, senza spreco di forza. Egli procede e la sua trasmissione è veloce e pura come un ruscello di montagna. “Per salvaguardarsi da errori e ritardi, chi trasmette un messaggio dovrebbe ordinarlo ripetuto indietro”. L’uditorio, affascinato, dimentica la velocità, e ascolta attentamente solo la bellezza della trasmissione. Incessantemente volano i punti e le linee, e benchè sia chiaro che la sua pace non è sopra quella messa dai leader, tuttavia vi è una perfezione – una indefinibile qualità nella performance che alla fine porta la moltitudine ai suoi piedi, in uno spontaneo scroscio di applausi; come un’esplosione che potrebbe accogliere un grande pezzo di oratoria o di recitazione.

 

2. Un rivoltoso tradito dal suo accento del sud

Un Morse di un telegrafista, quindi, è come un distintivo, come la sua faccia, i suoi toni o la sua manoscrittura e come la sua voce o la sua scrittura è difficile da contraffare. Su questa qualità individuativa del telegrafese i vecchi telegrafisti di guerra raccontano molte storie. A esempio un Confederale incontra durante la marcia una linea telegrafica che egli sospetta sia usata dal nemico. Intercetta il filo, vi inserisce i suoi strumenti, e ascolta. Il suo sospetto è fondato; allora mette a terra l’uno o l’altro dei due estremi del filo, e cercando di mascherare il suo stile di trasmissione fa delle domande finalizzate a ottenere una importante informazione. Ma il suo accento sudista nel suo Morse è riconosciuto dal suo distante interlocutore, che, peraltro, avrebbe potuto essere un suo collega di prima della guerra. Così l’intruso ottiene solo una ironica sgamata risposta. “Il trucco non funziona, Jim” dice l’operatore nordista. “Lascia perdere per amore dei vecchi tempi, e tieniti fuori”.

Nel mondo del filo un telegrafista è conosciuto dal suo “segno” (nominativo?), che può essere la lettera X, la Q o la &. Ebbene, non c’è certo niente in una semplice lettera per infervorarsi, o l’inverso; e inoltre, dopo un giorno o due di comunanza via filo con una persona che non si è mai vista, e il cui nome non si conosce, una conversazione, non tua propria, intendiamoci, ma indiretta a causa dello scambio di telegrammi di altre persone (vedi Bosellini), dà un’idea della personalità dell’altro, così distinta come se fosse di persona; uno sente amicizia verso di lui, oppure antipatia. E il proprio feeling verso di lui è probabilmente provato da chiunque abbia avuto questo contatto via filo con lui. X o Q o & nel mondo del telegrafo stanno per una distinta personalità, nello stesso senso che il nome Thackeray o Longfellow rappresenta una Personalità nel mondo letterario.

 

3. Una risata sul filo

Espressa in forma stampata una risata è un nudo “ha ha!” che richiede altre parole per descrivere la sua qualità. Nel linguaggio del filo è usata la stessa forma, ma il modo di esecuzione impartisce qualità alla risata. Nella conversazione in punti e linee, come nel linguaggio, “ha! ha!” può dare una impressione di malinconia, di leggero divertimento, o di crepapelle. La doppia i, inoltre, nella parlata del filo, ha un esteso campo di significati a seconda della esecuzione. Alcune doppie i sono usate come un preludio a una conversazione, come pure per “rodarne” (break) la bruschezza alla fine. Essi si fanno anche per esprimere dubbio o acconsentimento; e in ogni esitazione per una parola o frase sono usati per preservare la continuità di un periodo diviso. Quando un ordine viene dato in Morse sul filo, la risposta (acknowledgment) dell’operatore è uno scampanellante “ii!” che ha lo stesso significato del “Signorsì!” di un marinaio.

Sarebbe un cattivo osservatore di piccole cose l’uomo che, dopo aver “lavorato a un filo” con uno straniero all’altro estremo per una settimana, non potesse dare una corretta idea della disposizione e del carattere del suo distante faccia a faccia. E sarebbe del tutto possibile per un operatore immaginoso costruirsi una sua immagine mentale abbastanza accurata, o che mangi col suo coltello, o che porti un cappello drizzato su un lato della testa, o parli a voce alta in pubbliche piazze.

 

4. Un’amicizia nata sul filo

Alcuni anni fa, in un ufficio del Sud, io ero assegnato ad una linea che faceva capo alla capitale nazionale. Il mio collega operatore all’altro capo del filo usava le lettere “C G” come sua firma sul filo.

Il Morse di C G era così chiaro, sereno e ritmico, i suoi punti e linee così perfettamente temporizzati e accuratamente spaziati, che immediatamente mi nacque una cordiale simpatia per lui. In breve tempo questa simpatia, che lui contraccambiava di cuore, maturò in un forte e sincero attaccamento. Il distinto sebbene delicato “tocco del filo” del mio amico rendeva estremamente riposante lavorare con lui. Davvero per mesi ogni giorno io lo ricevetti senza percettibile fatica, o la necessità di “breaking”. Quasi dall’inizio della nostra frequentazione io pensai che lo avrei riconosciuto vedendolo se mi fosse capitato di incontrarlo. Io lo raffiguravo come un uomo alto, delicato, con i modi pazienti e fini di uno che aveva sofferto molto, i suoi lineamenti delicatamente plasmati, i suoi occhi del tipo che si accendevano velocemente quando illuminati da un sorriso, e la sua bocca pronta ad applicare la torcia (?) ogni volta che prorompeva il suo senso dell’umorismo. Mi immaginavo che avrei riconosciuto il suo vestito, il bavero vecchio stile, la piccola cravatta bianca, il suo nero, sottile vestito a sacco.

Qualche mese dopo il nostro primo incontro sul filo io fui chiamato a Washington, e mentre ero lì visitai la grande sala operativa dell’ufficio principale, per salutare i vecchi amici di un tempo. Appena entrai, feci attenzione per cercare il mio vecchio amico del filo. Io non lo avvisai della mia venuta, perché desideravo vedere se era possibile identificarlo con la mia fotografia mentale. Immediatamente lo scorsi, non appena me lo ebbi raffigurato. Mi fermai accanto a lui un momento, indi toccandogli la spalla, gli tesi la mano.

Come stai, C G? Sono molto contento di vederti e avere il piacere di stringerti la mano”.

Sebbene egli fosse molto più vecchio di me, nelle mie parole non c’era mancanza di rispetto, perché tra telegrafisti è comune chiamarsi col proprio sign.

C G si alzò con quieta dignità, e prendendo la mia mano mi guardò con occhi sfavillanti dietro le lenti.

Sei H, non è vero? Sono molto lieto di incontrarti, figlio mio!” e allora iniziammo a parlare (chatting), faccia a faccia, come avevamo spesso fatto sul filo.

Non lo incontrai più in carne ed ossa. Pochi mesi dopo la mia visita a Washington lo chiamai via filo. Mi risposero che il mio caro vecchio amico aveva avuto un incidente d’auto, e che essendo solo al mondo era ricoverato in un ospedale, dove tirò avanti qualche tempo, a volte semicosciente, e dove alla fine spirò.

Allora feci un altro viaggio a Washinghton, per andare al funerale; poi andai all’ospedale per chiedere all’infermiera la storia della sua malattia e della sua morte.

“A tarda sera” mi disse la buona donna verso la fine dell’intervista “fui chiamata nella sua stanza. Egli stava rapidamente venendo meno e parlava come in un sogno (delirio), battendo due dita della mano destra sulla coperta come se stesse trasmettendo un messaggio. Io non capisco il significato, ma forse tu lo comprenderai. “Dici che non puoi leggermi?” egli avrebbe detto. “Allora lascia che H venga al tasto. Egli può leggermi e capirmi. Fai venire qui H, per favore” ora le sue dita sarebbero fermate, come se aspettasse che la giusta persona rispondesse. Poi continuò: “Mia cara, mia cara, questo non viene mai! Io cerco di parlare con H. Ho un importante messaggio per lui. Per favore digli di affrettarsi”. Indi seguì un’altra pausa, durante la quale mormorava tra sé pieno di rammarico. Ma alla fine, improvvisamente, si atteggiò come uno che ascolta attentamente; allora, mentre gli spuntava un sorriso in volto, egli gridò, mentre le dita battevano il tempo con le sue parole “Sei tu, H? Sono così contento che sei venuto! Ho un messaggio per te” e così, mentre le sue dita battevano un messaggio muto, il suo delicato spirito spiccò il volo”.

Gli occhi dell’infermiera brillavano, e io ebbi un groppo alla gola. Dopo un momento di silenzio lei continuò:

“Ma c’era una caratteristica del modo di parlare del moribondo signor G. che mi impressionò particolarmente. Mentre egli batteva il suo messaggio egli parlava in un teso semibisbiglio, come uno che cerca di proiettare la sua voce attraverso lo spazio. A volte, però, parlando con se stesso, parlava col suo tono naturale. Ma io ho notato che egli scivolava da un tono all’altro, come un linguista che volesse conversare con due persone di differente nazionalità”.

L’infermiera in un ospedale era inciampata in una scoperta che tuttora per il linguista rimane un libro sigillato.

 

5. Uno sbaglio di natura svelato

Un Morse di una donna è femminile come la sua voce o la sua manoscrittura. Io spesso ho messo alla prova la mia abilità a distinguere tra il Morse di un uomo e quello di una donna, e solo una volta mi sono sbagliato.

Sullo stesso “circuito Washington” un giorno incontrai un trasmittente all’altro capo del filo, uno straniero, che per ore “mi prendeva in giro” come raramente mi è capitato nella mia esperienza telegrafica. I punti e le linee riversati dal sounder in un torrente sconcertante, e io facevo il più duro lavoro per stargli dietro a copiarlo. Con tutta la sua tremenda celerità il Morse era chiaramente battuto e musicale, sebbene avesse un aspro, staccato ticchettio che indicava una mancanza di sentimento e feeling in chi trasmetteva. Da questo, e da una certa foga e spavalderia, io dedussi, prima di sera, una netta impressione della personalità del trasmittente. Io lo immaginai di una ben tenuta, aggressivamente pulita apparenza, con una brillante carnagione rossa, con i capelli strettamente raccolti; una, in breve, la cui intera maniera e make-up tradisse l’auto soddisfatto sport (?). Che essa indossasse un diadema nella sua fronte (?) lo consideravo estremamente probabile, e che essa portasse uno stuzzicadenti tra le sue labbra era moralmente certo.

Il giorno dopo ebbi modo di fare alcune indagini dal mio collega operatore a Washington.

“Oh, tu intendi T Y” mi disse, ridendo. “Si, per essere una ragazza è un trasmittente che vola”.

Io mi mortificai di scoprire che avevo sbagliato il sesso del trasmittente, ma mi consolai quando incontrai la giovane donna. L’alto colorito c’era, e l’aria sicura di se (auto soddisfatta); e vi era pure il legame mascolino, il panciotto da uomo, e le shirt strappate davanti. Né mancavano lo stuzzicadenti e la trascuratezza (?). quando essa si introdusse col suo sign, mi chiamò Culley, e disse che ero un ricevitore di prim’ordine. Io mi convinsi che era la natura, non io, ad aver fatto l’errore sul suo sesso.

 

6. Emozione per una città perduta

Quanto potentemente l’immaginazione possa essere stimolata da una storia raccontata in punti e linee è illustrato da un episodio del terremoto di Charleston. Al momento della scossa finale ogni filo che collegava Charleston col mondo esterno fu istantaneamente “perduto”. E poiché dalla città condannata non si poteva avere nessuna notizia, fu come se in un istante essa fosse stata spazzata dalla faccia della terra. E per molte ore Charleston rimase letteralmente morta per il mondo.

La mattina seguente, prima che il cittadino comune avesse il tempo di riorganizzarsi, il mondo dei telegrafisti aveva inviato squadre di operai per rimettere in sesto le linee. Operatori nei principali uffici nel raggio di parecchie centinaia di miglia furono messi a chiamare “C N”. Per molto tempo non ci fu risposta; ma alla fine, sul filo che mi era stato assegnato, si sentì un debole segnale di risposta, udito molto debole e vacillante, simile al primo segno di un ritorno in vita. Da quel momento la mia vigilanza (watch) divenne, se possibile, più diligente. Per un’ora e più io chiamai, regolai l’apparecchio (adjusted) e feci ogni sforzo per ravvivare quel debole impulso. Potrei immaginarmi come impegnato disperatamente a resuscitare un uomo mezzo affogato. Di nuovo sentii quel tremulo segnale, e dopo ancora una volta tutti i segni di vita svanirono. Finalmente, quando i fili furono gradualmente ripuliti dai detriti, la corrente iniziò a rafforzarsi, e allora sentii la risposta “ii! C N”, debole e instabile, ma ancora sufficientemente chiara per essere decifrata. Per me suonava come una voce dalla tomba, e io gridai forte la notizia che Charleston esisteva ancora. Subito il sounder fu circondato da una folla di telegrafisti eccitati. Il Morse all’inizio era frammentato (broken) e instabile. Poi la corrente divenne più forte come il paziente che sta migliorando e per molto tempo ascoltammo l’affaticato ticchettio, finchè alla fine il peggio fu noto. E al termine del racconto dai cuori di tutti noi venne un sospiro di sollievo, come se una città per lungo tempo sepolta fosse stata riesumata in nostra presenza.

 

7. Trasmissione eccitata di notizie eccitanti

Nella telecronaca via filo di giochi e corse, il Morse conferisce una singolare vitalità alla descrizione. La folla accalcata ascolta la descrizione ripetuta a voce (by mouth) dal sounder, che suscita entusiasmo o depressione. Ma è l’esibizione delle squadre che li commuove; nel suono delle parole non c’è niente che li eccita. Non è così per chi legge il Morse, specialmente se il lontano reporter è abile col suo telegrafese. I corti, acuti punti e linee creano una maggiore suspense ai suoi annunci: una qualità che agita il sangue e fa battere con eccitamento il cuore del ricevente. “Fuori gioco!” stampato è freddo e vuoto se confrontato con la sua controparte in Morse emessa in un momento critico. Qualche indescrivibile qualità nel suono riflette l’interesse e il feeling di chi trasmette, come nessun uomo, né oratore né attore, potrebbe rifletterli nella voce o nel gesto.

 

8. Commedie del codice Morse

Di aneddoti telegrafici ce ne sono in abbondanza. Così la difficoltà è presentarli al lettore per dargli un’idea del loro “sapore” telegrafico. Ce n’è uno col sapore parzialmente oscurato.

Per iniziare è necessario dire che la lettera E in Morse è un singolo punto, mentre una O è due punti leggermente spaziati (nel Morse americano – ndt). Dovrebbe essere chiaro quindi che una O spaziata imperfettamente, o malamente interpretata in ricezione, all’orecchio fa la stessa impressione della doppia E. Il mordente della storia poggia su questo. Io stavo trasmettendo un messaggio indirizzato a “Gen. Fitz Lee,Washington”; un suo vecchio camerata gli mandava un messaggio di congratulazioni. Non appena arrivai alla predetta intestazione l’operatore ricevente mi fermò. “È il generale Fitz Lo?” mi chiese. “No, risposi impazientemente, è il generale Fitz Lee”. Bk! Bk! (break! break!) disse il ricevente: “Gen. Fitz Lee o Gen. Fitz Lo – è tremendamente stupido per i nostri impiegati accettare un messaggio indirizzato a un lavandaio cinese in questa città senza dare il numero della strada”.

L’evidente convinzione del collega e il suo candore, come evidenziato nel suo Morse rendeva l’esclamazione deliziosamente comica. La storia arrivò al Generale e io dopo gliela sentii raccontare a sue proprie spese (?). Ma nel racconto il “sapore” telegrafico era perduto.

 

9. Lo slang del filo

Come ogni altra lingua, il Morse ha il suo patois, una versione corrotta del più puro linguaggio usato dagli inesperti o da quelli a cui la natura ha negato le più sottili percezioni di timing e spacing. Questo patois potrebbe essere chiamato “hog-Morse”. Sarebbe del tutto impossibile dare un’idea nemmeno lontana dell’umorismo contenuto, per l’esperto, in alcune delle corruzioni di cui l’hog-Morse è colpevole. Queste consistono essenzialmente nell’unire strettamente elementi che dovrebbero essere spaziati, o nel separarne altri destinati ad essere strettamente accoppiati.

Nel patois dei fili “pot” significa “hot”, “foot” è diventato”fool”, “U.S. Navy” è “us nasty”, “home” è cambiato in “hog” e così via. Per esempio, se mentre si riceve un telegramma un utente del patois dovesse mancare una parola e vi dicesse “6naz fimme q”, l’esperto saprebbe che egli intende “Please fill me in”. Tuttavia non c’è difficoltà a interpretare il patois purchè chi riceve sia esperto e stia sempre in allerta. Però, quando la mente vaga mentre riceve, c’è sempre il pericolo che la mano registri esattamente quello che l’orecchio detta. In una occasione, durante il Natale, uno scherzoso cittadino di Rome, New York, telegrafò a un amico lontano un messaggio, che pervenne a destinazione (lettura?) “Cog hog to rog and wemm pave a bumy tig”. All’uomo sembrò indirizzato come Choctaw, e ovviamente non fu compreso. Una volta ripetuto divenne “Come home to Rome, and we’ll have a bully time”. Un altro caso di confusione accaduto (?) per hog-Morse fu quello della agenzia Richmond, Virginia, a cui fu richiesto via filo il prezzo di un carico di “undressed slaves”. L’impiegato della ditta che ricevette il telegramma, essendo un po’ burlone, telegrafò in risposta “Nessun commercio in beni nudi dopo la Proclamazione d’Indipendenza”. Il messaggio originale era stato trasmesso da telegrafisti di hog-Morse, chiamati tecnicamente “hams”, e il ricevente, pensando ad altro, registrò le parole così come erano “suonate” (al sounder). Quello che il mittente chiedeva, ovviamente, era la quotazione di un carico di doghe grezze.

Il semplice “suono dello stile” di alcuni trasmittenti è irresistibilmente comico. Uno di questi naturali umoristi può rivelarsi trasmettendo nient’altro che una stringa di cifre, e tuttavia ridacchiare al loro grottesco Morse. È cosa di tutti i giorni sentire operatori caratterizzati come Miss Nancys (?), rattle-brains (?), swell-heads (?), oppure tipi eccentrici o “chiacchieroni”, semplicemente perché il suono dei loro punti e linee suggerisce questi epiteti.

Quando un telegramma viene letto (copiato) al suono, il ricevente non è conscio dei punti e delle linee che costituiscono le frasi. L’impressione sull’orecchio è simile a quella prodotta da parole parlate. Inoltre, se ad un telegrafista esperto si domanda di botto la costituzione di una lettera in punti e linee, è probabile che egli esiti prima di riuscire a dare la risposta. In vista di questo fatto potrei dire che pensare in telegrafese non è possibile, e da questo punto di vista il Morse è perdente nel confronto con una lingua parlata. Abbastanza curiosamente, però, il telegrafese è utile nello spelling di parole. Se un telegrafista fosse in dubbio sull’ortografia di una parola, se si debba, per esempio, compitare con un ie o un ei, egli dovrebbe soltanto batterla su uno strumento o anche su un dente, per dissipare all’istante ogni incertezza.

Tra gli altri interessanti fatti c’è che in Morse la somiglianza familiare è spesso mostrata come in faccia e nel modo di fare. Per di più, così come due persone di temperamenti consanguinei, mettiamo marito e moglie, che sono stati a lungo insieme, si dice che crescono gradualmente in una somiglianza fisica l’una con l’altra, così, similmente, due telegrafisti che hanno “lavorato un filo” insieme per anni insensibilmente plasmano il loro Morse ognuno in quello dell’altro, finchè la somiglianza tra i due è realmente percepibile.

 

10. Spirito di corpo degli operatori

Se fosse necessaria ancora qualcosa per completare il parallelo tra il telegrafese e un riconosciuto veicolo di espressione, potrei aggiungere che gli utenti della lingua di punti e linee sono animati da uno spirito di corpo come quello delle Highland Scots (Montagne Scozzesi?). Mettete due stranieri insieme, lasciate che ognuno si renda conto di quanto l’altro abbia familiarità con la lingua del filo, e in cinque minuti i due si racconteranno a vicenda cose telegrafiche come se si conoscessero da anni. Operatori di campagna quando vengono in città sono irresistibilmente attratti verso l’ufficio telegrafico della città. Per quanto straniera possa essere la città, nell’ufficio telegrafico commerciale o nella tana dei “dispatcher” ferroviari essi sono certi di trovare altri che parlano la loro lingua e con cui possono fraternizzare e sentirsi a casa. Né questo spirito di corpo si sente solo nei rapporti di persona; esso c’è anche in quelli che, in città lontanissime, sono messi in contatto giornaliero mediante un filo usato congiuntamente da tutti. Negli intervalli di lavoro, per esempio su un circuito dell’Associated Press, un filo che tocca una dozzina o più di città lontane, è perso di vista e tutti i fatti personali sono distintamente presenti. Si raccontano storie, si scambiano opinioni, si fanno risate, come se i partecipanti fossero seduti insieme in un club. Essi vengono a conoscere stati d’animo abituali gli uni degli altri, e debolezze, cose liete e spiacevoli, e quando nel circolo vi è un break per la morte di un membro, la sua assenza è sentita quasi come in associazione personale.

 

Intervento di Cavina:

Lettura interessante. Vedrò se posso mettermi al lavoro per affinare la traduzione.

Intervento di Gaeta:

Molti telegrafisti hanno apprezzato questo articolo e ne auspicano una traduzione nella elegante lingua italiana. Un desiderio analogo concerne il classico di Pierpont, The art and skill of radiotelegraphy. 

 

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