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- Sugli equivoci, semplici e doppi
Il linguista Gianluigi
Beccaria, ultimo di una piccola schiera, mi prega laconicamente di
non mandargli più email. In altri tempi mi sarei irritato e avrei continuato a
inviargli queste Morse News, ribattendogli che la natura spesso linguistica
delle stesse doveva istituzionalmente
interessarlo e che comunque la mia “spazzatura” poteva cestinarla del tutto
automaticamente. Ora però, anche grazie all’ultimo disteso colloquio con De
Mauro, mi sono reso conto che tale mio comportamento avrebbe a sua volta e
ancor di più irritato il mio interlocutore, senza disinnescare affatto la
catena di incomprensioni che circondano la mia persona e quindi, malvolentieri,
preferisco assecondare la volontà dell’insigne docente depennandolo dalla mia
lista (ma non dalla mia considerazione).
Questo piccolo incidente mi dà lo spunto per alcune
riflessioni sugli equivoci, spessissimo subdoli e inavvertiti, che si insinuano
nei rapporti umani, a volte persino insidiando la civile convivenza. La
commedia di Plauto, la farsa, la semplice barzelletta sono intrise e alimentate
da equivoci che, proprio perché riconosciuti, risultano gradevolissimi.
Diametralmente opposto è il caso il cui l’equivoco non è né rivelato né
soprattutto rilevato da uno o da entrambi i corrispondenti: ci si offende, si
litiga, ci si ammazza. Accennerò a quattro casi di questi doppi o reciproci
equivoci.
Il primo è quello dell’arbitrarietà del segno linguistico
che un giorno del 1950 Mario Lucidi capì di botto e che poi diede il titolo ad
uno dei suoi scritti (L’equivoco de
“l’arbitraire du signe”. L’iposema).
Il secondo è quello del “disdegno di Guido”, relativamente
famoso, ma insufficientemente compreso se non si è letto l’articolo di Lucidi
di cui qui in apertura riporto due stralci (da Cultura neolatina, 1954). Portare sui banchi delle scuole queste
pagine esemplari non potrebbe che far bene alle nuove generazioni, oltre ad
onorare nel mondo la cultura italiana.
Il terzo, anche questo doppio, quello tra lo scrivente e
l’ingegner Tonio Di Stefano a proposito del Bitnick e che ho rilevato, anch’io
pressoché di botto, solo un paio di anni dopo (vedi Il Bitnick incompreso).
Il quarto, recentissimo e temo solo unilateralmente
compreso, tra lo scrivente e un accademico che, per opportuno riserbo, chiamerò
X***. Un paio di anni fa, nell’ambito delle mie ricerche su Buccola e per
suggerimento del professor