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– La mano armata
Chiarissimo De Mauro e cari amici accademici,
incollo
in calce (e lo allego anche impaginato in formato Word) il quarto capitolo del
mio Atomo di imminente uscita Il segno tecnificato. L’iposema di Lucidi.
I
primi due, come spero ricorderete, li ho anticipati in Lucidi News 68;
il terzo, La mano nuda, lo invierò,
assieme agli altri otto, a chi mi userà la gentilezza, almeno, di una revisione
formale dell’intera opera, che vorrei licenziare in una forma il più possibile
consona al contenuto.
Ringrazio molto. Cordialmente. Gaeta
N.
B. – Unicamente a scopo, o per “diritto”, di cronaca aggiungo che, salvo
sparutissime eccezioni, gli unici riscontri a queste comunicazioni preventive
mi stanno pervenendo da ambienti extraccademici.
4. La mano
armata
Se la scrittura a mano può sembrare nuda, la scrittura a stampa, a stampatello,
dattiloscritta, “videoscritta” al
computer è con ogni evidenza artefatta, “armata”.
Dal prosieguo comunque emergerà l’aspetto “tecnificato”
anche
della manoscrittura, conseguenza diretta e imprescindibile della (lucidiana) “funzionalità” dell’alfabeto. Intanto
ecco una mia traduzione, alquanto libera, di un notevole brano di Heidegger[1]
sulla Schreib-machine (il prototipo è
quella di Nietzsche qui raffigurata,
v. nota 2).
Non è un
caso che l’uomo moderno scriva “con” la macchina da scrivere e “detti” (dichten = poetizzi) “dentro”
Quando la
scrittura è sottratta alla sua origine naturale, cioè alla mano, e delegata
alla macchina, avviene una trasformazione nel modo di essere dell’uomo, per
quanto poca possa essere la gente che di fatto usa la macchina da scrivere, o
se addirittura qualcuno
La
macchina da scrivere è una nube senza segni, un annebbiamento che, pur con
tutta la sua invadenza, si sottrae, dando luogo al mutamento del riferimento
dell’Essere alla sua essenza. Di fatto essa è senza segni, non si mostra nella
sua essenza; e forse è per questo che molti di voi, come prova la vostra
reazione, non avete afferrato quello che io ho cercato di dire.
Questa non
è una disquisizione sulla macchina da scrivere in se stessa, cosa che sarebbe
fuori luogo parlando di Parmenide. Il mio tema
era la relazione moderna (trasformata dalla macchina da scrivere) tra la mano e
la scrittura, cioè con la Parola, ossia il non occultamento dell’Essere. Una
meditazione più approfondita sulla Rivelazione e sull’Essere non ha
semplicemente un po’ a che fare col poema didattico di Parmenide, ma vi ha a che fare del tutto. Nella
macchina da scrivere la macchina, la tecnologia, appare in un rapporto quasi
quotidiano con la scrittura, ossia con la Parola, con l’Essenza caratterizzante
dell’uomo, e quindi rimane inavvertito e privo di segni. Una considerazione più
penetrante dovrebbe portare a riconoscere che la macchina da scrivere in
realtà non è una “macchina” nello
stretto senso di macchina tecnologica, ma
è una cosa intermedia tra un utensile
e una macchina, un “meccanismo”. La sua produzione, in ogni caso, è
condizionata dalla tecnologia delle macchine.
Questa “macchina”, che opera
nella più stretta vicinanza alla parola, è in uso, si impone all’uso. Anche
laddove non venga impiegata essa esige che la si tenga comunque nel massimo
riguardo, nel senso che è ad essa che si rinuncia, è essa che viene evitata.
Questa situazione si ripete costantemente ovunque, in tutte le relazioni
dell’uomo moderno con
[1] Tratto dal suo Parmenide. Non essendo in grado di leggere il tedesco, specie poi la profonda e astrusa prosa di Heidegger!, mi sono aiutato con la versione italiana di F. Volpi e quella inglese dal Kittler (cit.).